Le problematiche dell’avvocato domiciliatario
2/2019 MAGGIO - AGOSTO
1. Accade spesso che il cliente non vuole “abbandonare” il suo difensore “abituale” anche quando deve instaurare un giudizio in una sede diversa da quella in cui opera il suo difensore di “fiducia”. Quest’ultimo, allora è costretto a ricorrere alla collaborazione di un collega esercente nella sede in cui deve essere radicata la causa.
Infatti, non è infrequente che una parte, la quale debba essere rappresentata e difesa in un giudizio destinato a svolgersi in una città diversa da quella della propria residenza, non conoscendo legali di quel foro, si rivolga ad un professionista della propria città, e che sia poi quest’ultimo a metterla in corrispondenza con un legale del foro ove deve avere luogo il processo, al quale (talvolta congiuntamente con il legale con cui ha rapporto diretto) la parte medesima conferisce mandato ad lite.
Nel qual caso è possibile che la parte abbia inteso intrattenere un rapporto di clientela unicamente con il professionista che già conosceva, e abbia conferito al legale dell’altro foro soltanto la procura tecnicamente necessaria all’espletamento della rappresentanza giudiziaria: sicché il mandato di patrocinio in favore di quest’ultimo non proviene dalla parte medesima, bensì dal primo professionista, che ha individuato e contattato il legale del foro della causa e sul quale graverà perciò l’obbligo di corrispondere il relativo compenso (Cass. 309.2016 n.19416).
2. Il “domiciliatario” è il soggetto che, senza compiere alcuna prestazione processuale, riceve le notifiche e comunicazioni destinate al cliente che ha eletto domicilio presso il suo studio, attività che può essere svolta anche da soggetto non avvocato. In ordine ai “poteri” dell’avvocato domiciliatario, si è affermato (Cass. 12 ottobre 2015 n.20468, Foro it., Rep.2015, voce Notificazione civile, n.21) che il procuratore che sia semplice domiciliatario è abilitato alla sola ricezione, per conto del difensore, delle notificazioni e comunicazioni degli atti del processo e non anche al compimento di atti di impulso processuale.
E sui “compiti” e “funzioni” dell’avvocato domiciliatario, anche il Consiglio Nazionale Forense (6.11.2017 n. 158), ha confermato che, nel caso in cui l’avvocato domiciliatario assuma le vesti di semplice domiciliatario, “il suo esclusivo dovere si limiti a comunicare al dominus della causa/procedimento, tutte le notizie che a lui dovessero pervenire dalla cancelleria o da controparte, non rilevandosi alcuna fonte normativa che lo obblighi, nella veste de qua, a partecipare ad udienze ovvero ad adempiere ad ulteriori incombenze di qualsiasi natura”. In tema di domiciliazione, si è affermato (Cass., Sezioni Unite, 20 giugno 2012, n. 10143, in Foro it., 2013, I, 1302) che l’obbligo di indicare l’indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) esonera l’avvocato dall’elezione di domicilio quando si trova a dover patrocinare una causa fuori dalla circoscrizione del tribunale cui è assegnato.
3. Sulla figura del “domiciliatario” occorre evidenziare che il contratto di domiciliazione è un negozio autonomo e ben distinto sia dal contratto di patrocinio sia dal negozio unilaterale di procura alle liti. Nel caso in cui l’avvocato domiciliatario assume le vesti di semplice domiciliatario, il suo esclusivo dovere si limita a comunicare al dominus della causa/procedimento, tutte le notizie che a lui pervengono dalla cancelleria o da controparte, non rilevandosi alcuna fonte normativa che lo obbliga a partecipare ad udienze ovvero ad adempiere ad ulteriori incombenze di qualsiasi natura (Cons. naz. forense 6 novembre 2017 n. 158).
Il contratto di domiciliazione consiste nell’attribuzione, con libertà di forme, ad un legale (il domiciliatario) di un potere di sostituzione (con o senza rappresentanza del cliente) da parte del secondo legale, ossia del domiciliante, unico ad intrattenere e coltivare il rapporto con il cliente intuitu personae, contro il corrispettivo di un prezzo determinato o determinabile in base alle tariffe e/o parametri forensi (Trib. Prato 25 giugno 2013). Occorre evidenziare che in tema di attività professionale svolta da avvocati, mentre la procura ad litem costituisce un negozio unilaterale con il quale il difensore viene investito del potere di rappresentare la parte in giudizio, il mandato sostanziale costituisce un negozio bilaterale (cosiddetto contratto di patrocinio) con il quale il professionista viene incaricato, secondo lo schema negoziale che è proprio del mandato, di svolgere la sua opera professionale in favore della parte. Ne consegue che, ai fini della conclusione del contratto di patrocinio, non è indispensabile il rilascio di una procura ad litem, essendo questa necessaria solo per lo svolgimento dell’attività processuale, e che non è richiesta la forma scritta, vigendo per il mandato il principio di libertà di forma (il conferimento della procura alle liti, peraltro, non costituisce affatto prova dell’esistenza di un contratto di patrocinio tra il cliente e uno dei due formali difensori).
4. Il D.M. n. 55/2014 sui parametri – a differenza del previgente D.M. n. 140/2012 che nulla prevedeva per l’avvocato domiciliatario – all’art. 8, comma 2, statuisce “All’avvocato incaricato di svolgere funzioni di domiciliatario, spetta di regola un compenso non inferiore al 20 per cento dell’importo previsto dai parametri di cui alle tabelle allegate per le fasi processuali che lo stesso domiciliatario ha effettivamente seguito e, comunque, rapportato alle prestazioni concretamente svolte”. È stato, così determinato il compenso da corrispondersi al domiciliatario. L’inciso “di regola” riportato nella riferita norma depone per la natura non vincolante della previsione.
Il compenso per la domiciliazione, è dovuto soltanto a favore del procuratore esclusivamente domiciliatario e, pertanto non spetta allorché l’elezione di domicilio sia avvenuta presso il procuratore ad lites, ritenendo, in tal caso, il legislatore, priva di autonoma rilevanza ed assorbita la prestazione di domiciliatario nel complesso delle altre svolte dal procuratore (Cass. 7 dicembre 1990 n. 11729, id., Rep.1990, voce Avvocato, n. 109). Il domiciliatario può pretendere compensi – rapportati comunque a quelli previsti dall’art. 8, comma 2, D.M. n. 55/2014 – per la partecipazione alle udienze, soltanto se la sua attività non si sia limitata a seguire le istruzioni del dominus, e cioè l’attività difensiva non deve essere stata predisposta dal legale titolare, ma si sia estrinsecata in una prestazione a contenuto difensivo (es., attività originale di argomentazione per contrastare le deduzioni avversarie).
5. In ordine alla individuazione del soggetto obbligato del pagamento del compenso all’avvocato domiciliatario, il Consiglio Nazionale Forense (parere n. 233/2003) ha affermato che “deve ritenersi ormai consolidato il principio per cui l’avvocato che si avvalga di un collega corrispondente deve provvedere a retribuirlo qualora il cliente non adempia. Il fondamento di tale principio è da ravvisare sotto un profilo normativo nelle disposizioni che determinano la responsabilità del mandante … omissis … per cui il prestatore d’opera può avvalersi di sostituti o ausiliari sotto la propria direzione e responsabilità; e sotto il profilo disciplinare nel fatto che l’avvocato corrispondente riceve l’incarico da un collega e non ha necessità o possibilità di sindacare la solvibilità del cliente o di interferire sulle ragioni della lite; il rapporto si svolge infatti essenzialmente con il dominus e verso quest’ultimo si dirige l’affidamento del corrispondente per la corretta e utile gestione della controversia, sia nel senso di ricevere con tempestività le istruzioni, sia nel senso di ottenere il pagamento degli importi dovuti per spese e diritti” (Conforme anche parere CNF n. 1 del 4 novembre 2005).
In ordine al soggetto obbligato al pagamento dell’avvocato domiciliatario, occorre evidenziare come può verificarsi che la parte abbia inteso direttamente conferire ad entrambi i legali il mandato di patrocinio (oltre che la procura ad litem), o che abbia comunque inteso conferirlo anche al legale del foro della causa, per il tramite del professionista della città di sua residenza, potendo ben accadere che quest’ultimo commissioni l’incarico professionale al collega non solo per conto, ma anche in nome della parte rappresentata. In tale ipotesi è la parte ad essere tenuta al pagamento del compenso professionale, e non invece il legale, per il noto principio secondo cui gli effetti del negozio compiuto dal rappresentante in nome e per conto del rappresentato si producono unicamente nella sfera giuridica di quest’ultimo: accertare di volta in volta, in quale di tali diverse situazioni si verta integra una questione di fatto, che è rimessa alla valutazione del giudice di merito (Cass. 2 dicembre 2011, n. 25816).
L’avvocato che incarica un collega di svolgere attività procuratoria nell’interesse del proprio cliente, deve, quindi, provvedere personalmente alle relative spettanze; questo genere di rapporto, infatti, ha carattere extraprocessuale e rientra nel contratto di mandato: non si tratta infatti di due difensori dello stesso cliente, ma di un avvocato che agisce su mandato di un altro avvocato. In tale ipotesi si instaura, collateralmente al rapporto con la parte che abbia rilasciato la procura alle liti, un altro distinto rapporto interno ed extraprocessuale.
I “dissidi” sono spesso relativi al soggetto (dominus o domiciliatario) cui spettano determinati diritti o onorario. Per risolvere il problema occorre distinguere l’ipotesi in cui il cliente conferisce nella procura mandato sia al difensore che al domiciliatario, da quella in cui in procura viene “precisata” solo l’elezione di domicilio. Ma può anche verificarsi che la parte abbia inteso direttamente conferire ad entrambi i legali il mandato di patrocinio, oltre che la procura ad litem. In tale ipotesi è la parte ad essere tenuta al pagamento del compenso professionale al domiciliatario e non invece il primo legale. Per individuare il soggetto obbligato al pagamento del compenso all’avvocato domiciliatario (avvocato o cliente) occorre, quindi, accertare, di volta in volta, in quale delle diverse situazioni di fatto si verta: è necessario ricostruire nei dettagli i rapporti tra le parti per determinare i rapporti obbligatori, e cioè non deve essere valutato l’aspetto formale quanto piuttosto il rapporto sostanziale che si crea direttamente tra il dominus e il corrispondente, poiché ciò impone al dominus l’obbligo di intervenire per tutelare i diritti del collega.
Al fine di individuare il soggetto obbligato al versamento del compenso per l’attività svolta dal domiciliatario, è necessario, quindi, ricostruire i rapporti tra le parti e determinare i rapporti obbligatori, in quanto è obbligo del mandante (avvocato o cliente) corrispondere il compenso all’avvocato (Cass. 3.9.2016 n. 19416, in Foro it., 2016, I, 3850); per quest’ultima sentenza, “obbligato a corrispondere il compenso professionale al difensore per l'opera professionale richiesta non e' necessariamente colui che ha rilasciato la procura alla lite, potendo anche essere colui che abbia affidato al legale il mandato di patrocinio, anche se questo sia stato richiesto e si sia svolto nell'interesse di un terzo. Si instaura in tale ipotesi, un altro distinto rapporto interno ed extraprocessuale regolato dalle norme di un ordinario mandato, in virtù del quale la posizione del cliente viene assunta non dal patrocinato ma da chi ha richiesto per lui l'opera professionale. Pertanto e' da stabilire, in concreto, se il mandato di patrocinio provenga dalla stessa parte rappresentata in giudizio, o invece da un altro soggetto che abbia perciò assunto a proprio carico l'obbligo del compenso”.
6.- Sui riflessi deontologici conseguenti al mancato pagamento del compenso all’avvocato domiciliatario, occorre evidenziare che sul soggetto obbligato al pagamento delle competenze all’avvocato domiciliatario (cliente o dominus), il codice deontologico forense all’art. 43 prevede espressamente che “l’avvocato che incarichi direttamente altro collega di esercitare le funzioni di rappresentanza o assistenza deve provvedere a compensarlo, ove non adempia il cliente”, e che tale violazione comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura. Il Consiglio nazionale forense con decisione del 25 ottobre 2010, n. 152, ha affermato che costituisce illecito disciplinare, poiché realizzato in violazione dei doveri di correttezza e probità professionali, il mancato pagamento delle prestazioni procuratorie affidate al collega, sia pure in presenza di un accordo con costui avente ad oggetto la ripartizione dei compensi, trattandosi di convenzione in ogni caso inidonea a comprimere il fondamentale diritto al compenso professionale, peraltro regolato dalle tariffe forensi applicabili.
7.- Stante l’attuale normativa per la determinazione del compenso prevista dall’art. 4 del decreto n. 55/2014 sui parametri, norma che prevede la liquidazione del compenso per fasi del giudizio (fase di studio, fase introduttiva fase istruttoria, fase decisoria, fase esecutiva), per evitare “attriti” è opportuno – e consigliabile – pattuire preventivamente il compenso per l’avvocato domiciliatario, facendo eventualmente riferimento ad un compenso per la semplice domiciliazione e ad un distinto compenso per ogni singola partecipazione all’udienza.