Corte di appello di Napoli 16.5.2022

2/2022 MAGGIO-AGOSTO

Corte di appello di Napoli 16.5.2022, Pres. Papa, Rel. Nigro, Tizio (Avv. Marrone) c. Cassa Forense (Avv. Carbone) e Agenzia delle Entrate (Avv. Brandi).

Avvocato – Previdenza – Contributi – Contributi minimi – Prescrizione – Disciplina. Avvocato – Previdenza – Contributi – Prescrizione – Disciplina art. 66 l. n. 247/2012 – Decorrenza.

Avvocato – Previdenza – Omesso invio Mod. 5 – Sanzione – Prescrizione – Decorrenza.

Avvocato – Previdenza – Contributi – Riscossione a mezzo ruoli esattoriali – Inerzia dell’Agente della Riscossione – Prescrizione dei contributi – Responsabilità Agente della riscossione – Sussistenza – Limiti.

La disciplina della prescrizione della contribuzione minima dovuta alla cassa forense, in quanto contributo autonomo rispetto ai redditi professionali dichiarati, non è quella del disposto dell’art. 19 l. 576/80, secondo cui la prescrizione decorre dalla data di trasmissione della dichiarazione dei redditi, ma della norma generale di cui all’art. 2935 c.c., secondo la quale la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.

Il termine di prescrizione decennale di cui all’art. 66 della l. n. 247 del 2012 trova applicazione a tutte le fattispecie non esaurite al momento della sua entrata in vigore, ossia a tutti i casi in cui non si sia compiuta la prescrizione dei contributi per il mancato decorso del termine prescrizionale previsto dalla precedente normativa.

La sanzione amministrativa pecuniaria comminata dall’art. 17, 4° comma, l. n. 576 del 1980, per inottemperanza all’obbligo di comunicazione alla cassa forense dell’ammontare del reddito professionale, entro trenta giorni dalla data fissata per la presentazione della dichiarazione annuale dei redditi, è soggetta alla prescrizione quinquennale di cui all’art. 28 l. n. 689 del 1981, decorrente dal giorno in cui è stata commessa l’infrazione.

L’agente della riscossione è responsabile nei confronti dell’ente creditore in caso di prescrizione dei contributi previdenziali, a meno che non provi che la prescrizione sia maturata per fatto a lui non imputabile.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’appello principale proposto dal sig. Tizio è parzialmente fondato e va accolto nei termini che seguono. Altresì è parzialmente fondato e va accolto, con i limiti di seguito esposti, l’appello incidentale, sollevato dalla Cassa di Previdenza Forense nei confronti dell’esattore ed inteso al risarcimento del danno subito, nella deprecata ipotesi di accoglimento dell’appello principale. Ciò, come da motivazioni che seguono.

I. Quanto devoluto a questa Corte, con i motivi dell’appello principale proposto dal dott. Guerra, è la questione afferente l’applicabilità o meno della prescrizione decennale introdotta dall’articolo 66 legge 247/2012 ai contributi cd. “minimi” dovuti dall’iscritto alla Cassa di previdenza ed assistenza forense.

Innanzitutto, si premette che i contributi oggetto delle cartelle esattoriali per cui è causa erano quelli c.d. “minimi”, cioè quelli che si pagano annualmente in misura fissa, a prescindere dal reddito fatturato dall’avvocato; invece il contributo integrativo, che viene commisurato al reddito prodotto, viene poi determinato dalla Cassa dopo l’invio del modello 5 (entro il 30 settembre di ogni anno) contenente i dati reddituali di cui alla dichiarazione dei redditi dell’anno in corso e per il periodi di imposta dell’anno precedente.

Inoltre, nella terza cartella impugnata vi era una ulteriore pretesa creditoria della Cassa Forense, costituita da una sanzione ex art. 9, L. 141/92 , relativa all’anno 2003; tale sanzione era quella per omesso invio del modello 5 ed è stata annullata dal Giudice di primo grado.

Il Giudice di primo grado, con riferimento ai contributi minimi, richiesti per gli anni 2004, 2005 e 2007 aveva ritenuto applicabile l’articolo 66 della legge 247/2012 (c.d. riforma del sistema previdenziale forense), che recita: “La prescrizione dei contributi dovuti alla Cassa e di ogni relativo accessorio si compie con il decorso di dieci anni. Per i contributi, gli accessori e le sanzioni dovuti o da pagare ai sensi della presente legge, la prescrizione decorre dalla data di trasmissione alla Cassa, da parte dell’obbli-gato, della dichiarazione di cui agli articoli 17 e 23”.

La comunicazione alla Cassa ex art. 17 legge cit. avviene con il sopracitato invio del modello 5. Il Giudice di primo grado, applicando tale norma ha ritenuto applicabile la prescrizione decennale e per l’effetto dichiarava non prescritti i crediti, ad eccezione di quello contenuto nella terza cartella, notificata nel 2009, e per il quale l’importo di euro 355,00, era do- vuto a titolo di sanzione. Avverso tale statuizione è insorto l’appellante, deducendo che invece alla contribuzione minima, per la sua peculiare natura (non è rapportata al reddito) non si può applicare l’articolo 19 della legge 576/1980 con conseguente applicazione della prescrizione quinquennale.

La questione è stata affrontata dalla Suprema Corte di cassazione , che con la sentenza del 26 ottobre 2018, n. 27218, ha determinato il seguente principio: “….. Esso riguarda la sola contribuzione inerente all’anno 2003, ma si tratta, come è pacifico, di contribuzione minima, dovuta a prescindere dal reddito. Va in proposito ritenuta corretta la valutazione della Corte territoriale, secondo cui, rispetto a tale contribuzione e proprio per l’autonomia di essa rispetto ai redditi, non vale il disposto della L. n. 576 del 1980, art. 19, secondo cui “per i contributi, gli accessori e le sanzioni dovuti o da pagare ai sensi della presente legge, la prescrizione decorre dalla data di trasmissione alla cassa, da parte dell’obbligato, della dichiarazione di cui agli artt. 17 e 23”, ovverosia, in sostanza, dalla trasmissione della dichiarazione dei redditi. Proprio perchè la contribuzione minima non dipende dai redditi, non ha senso, rispetto ad essa, non applicare la norma generale di cui all’art. 2935 c.c., in quanto il diritto della Cassa può essere esercitato a prescindere dalla trasmissione delle dichiarazioni dei redditi, dovendosi riferire la norma speciale alle contribuzioni percentuali. Non a caso, si osserva ad colorandum, la cartella esattoriale contenente la pretesa ancora in discussione fu posta in notifica già nel corso del 2003, allorquando la dichiarazione dei redditi per quell’anno avrebbe dovuto essere formata nel 2004. In sostanza, la contribuzione minima può essere pretesa in concomitanza con le annate in cui vi è già stata iscrizione dell’assicurato alla Cassa e identica decorrenza va riconosciuta rispetto alla corrispondente prescrizione”.

La sentenza succitata, però, va intesa in senso diverso da quello prospettato dall’appellante.

La tesi dell’appellante sostiene che non applicandosi l’articolo 19 della legge n. 576 del 1980 alla contribuzione “minima”, non si applicherebbe nemmeno la prescrizione decennale, e, quindi, la prescrizione sarebbe quinquennale. L’assunto è errato.

Infatti la Suprema Corte ha statuito la “non applicabilità” alla contribuzione “minima”, soltanto dell’articolo 19 in commento e non anche dell’articolo 66 della legge n. 247/2012, di riforma del sistema previdenziale della Cassa Forense, che ha reintrodotto il termine decennale di prescrizione.

Tale disposizione ha sancito l’inapplicabilità dell’art. 3 della legge n. 335/1995 alla Cassa, facendo rivivere il termine decennale di prescrizione di cui al primo comma dell’art. 19 della legge n. 576/1980. La norma è entrata in vigore il 2 febbraio 2013.

La sentenza della Suprema Corte del 26 ottobre 2018, n. 27218, ha distinto il diverso regime dei contributi c.d. “minini” (quelli fissi) da quelli variabili (proporzionati al reddito) con riferimento soltanto alla “decorrenza della prescrizione” distinguendo tra la contribuzione “minima” – per la quale la prescrizione decorre in concomitanza con le singole annualità di iscrizione alla cassa, in applicazione dell’art. 2935 c.c., trattandosi di onere dovuto a prescindere dal reddito – e la contribuzione “eccedente i minimi”, per la quale si applica l’art. 19 della l. n. 576 del 1980 che fissa, invece, la decorrenza della prescrizione dalla data di trasmissione della dichiarazione di cui agli artt. 17 e 23”, ovverosia, in sostanza, dalla trasmissione della dichiarazione dei redditi. Questo è il senso della statuizione della Suprema Corte.

E, non quello prospettato dall’appellante che applicando sic et simpliciter il richiamo all’articolo 2935 c.c., ritiene applicarsi la prescrizione quinquennale. La questione che invece è rilevante e che bisogna affron- tare con riferimento alla prescrizione (se quinquennale o decennale) è quella della entrata in vigore della nuova norma contenuta dall’articolo 66 della 247/2012, vigente soltanto dal 2 febbraio 2013.

I giudici di merito hanno ritenuto concordemente che “in tema di prescrizione delle cartelle notificate dalla cassa forense, il termine decennale di prescrizione si applica solo alle ipotesi in cui al momento dell’entrata in vigore della nuova norma non era ancora decorso il termine previsto dalla L. n. 335 del 1995, ossia il termine quinquennale” (Corte appello Catania sez. lav., 27/02/2019, n.202; Corte di Appello di Roma 3.2.2020 n. 313; Corte di Appello di Roma, n. 134/2020, n. 5523/2017, Corte di Appello di Bologna, n. 447/2019, Corte di Appello di Salerno, n. 667/2019, Corte di Appello di Milano, n. 1361/2019 e n. 1132/2018, Corte di Appello di Palermo, Tribunale di Roma, n. 10674/2020, n. 2202/2020, n. 1267/2020, n. 9441/2019, n. 8808/2019).

La giurisprudenza di merito si è così pronunciata adeguandosi al principio espresso dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 6729/2013, che ha sancito che: “la nuova disciplina di cui all’art. 66 l. n. 247 del 2012 in materia di prescrizione dei contributi previdenziali dovuti alla cassa forense, si applica unicamente per il futuro nonché alle prescrizioni non ancora maturate secondo il regime precedente”, ribadendo, anche in subiecta materia, il principio secondo il quale la nuova normativa – in particolare il nuovo termine di prescrizione in essa previsto – deve trovare applicazione a tutte le fattispecie non esaurite al momento della sua entrata in vigore, ossia, nello specifico, a tutti i casi in cui non si sia compiuta la prescrizione dei contributi per il mancato decorso del termine prescrizionale previsto dalla precedente normativa.

In senso conforme si è pronunciata, successivamente, sempre la Suprema Corte, nella sentenza n. 18953/2014, ove, analizzando la problematica della prescrizione relativamente ad una contribuzione del 1990, ha precisato che è inapplicabile quanto disposto dalla legge 247/2012 all’art. 66, in vigore dal 2/02/2013, “non potendo la novella incidere su prescrizioni già perfezionatesi, confermando, pertanto, quanto già statuito dalla precedente decisione sopra citata, in ordine all’applicabilità della prescrizione decennale a tutti i contributi per i quali non sia maturato il termine quinquennale alla data di entrata in vigore della normativa de qua”.

Ordunque, applicando tali principi al caso che qui ci occupa e specificatamente alle singole pretese contributive, emerge che:

- il contributo minimo soggettivo per l’anno 2004, contenuto nella cartella esattoriale n. 071 2007 0042562271/000, notificata il 10.04.2007 si è prescritto il 10.04.2012

– nelle more del successivo atto interruttivo, costituito dalla intimazione di pagamento ex art. 50, comma II, DPR 602/73, notificata il 24.06.2016 – per intervenuta prescrizione quinquennale, applicandosi ad esso il termine prescrizionale quinquennale vigente prima della entrata in vigore del- la legge 247/2012 (2 febbraio 2013);

- i contributi minimi per gli anni 2005 e 2006 contenuti nella cartella esattoriale n. 071 2008 0103303180/ 000, notificata il 15.10.2008, non si sono prescritti, perché non essendo maturata la prescrizione quinquennale alla data di entrata in vigore della legge 247/2012, va ad applicarsi la prescrizione decennale, non decorsa per l’effetto della notifica dell’atto interruttivo del 24.06.2016;

- idem per il contributo minimo per l’anno 2007, conte- nuto nella cartella esattoriale n. 071 2009 0164477755/ 000, notificata il 07.10.2009, al quale va ad applicarsi la prescrizione decennale e che non si è prescritto;

- per quanto concerne la sanzione ex art. 9, L. 141/92, relativa all’anno 2003, va confermata sul punto la sen- tenza di primo grado, perché avendo la stessa natura ammnistrativa soggiace al termine prescrizionale quinquennale;

così, sul punto, ha statuito la suprema Corte con la sentenza 17258/2018: “la sanzione amministrativa pecuniaria comminata dall’art. 17, quarto comma, primo periodo della legge n. 576 del 1980 per inottemperanza all’obbligo di comunicazione, alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense, dell’ammontare del reddito professionale entro trenta giorni dalla data prescritta per la presentazione della dichiarazione annuale dei redditi, ha natura amministrative, che non è venuta meno per effetto della privatizzazione di detta Cassa, ai sensi del d.lgs 30 giugno 1994, n 509. Ne consegue che essa è soggetta alla prescrizione quinquennale decorrente dal giorno in cui è stata commessa la violazione e non a quella decennale prescritta dall’articolo 19, primo comma della legge n. 576 del 1980, che si riferisce solo ai contributi e ai relativi accessori”.

La doglianza è, dunque, fondata limitatamente alla cartella cartella esattoriale n. 071 2007 0042562271/000, notificata il 10.04.2007.

Per le altre due cartelle va confermato il rigetto dell’opposizione di primo grado statuito dal primo Giudice , ad eccezione della sanzione ex art. 9, L. 141/92, relativa all’anno 2003, di cui va confermato il relativo annullamento.

Pertanto in parziale accoglimento della domanda del sig. Guerra e parziale riforma della sentenza di primo grado, questa Corte grado dichiara prescritti i crediti contenuti nella cartella esattoriale n. 071 2007 0042562271/000;

- rigetta l’opposizione quanto alle cartelle numeri: 071 2008 0103303180/ 000 e 071 2009 0164477755/ 000;

- annulla l’intimazione di pagamento di pagamento ex art. 50, co. II, DPR 602/73 n. 071 2016 9023 985956000, notificata il 24.06.2016,del 2016 con riferimento alla sanzione ex art. 9, L. 141/92, relativa all’anno 2003, per l’importo di euro 355,00.

II. È parzialmente fondato l’appello incidentale sollevato dalla Cassa di Previdenza Forense nei confronti dell’esattore, per i motivi di seguito segnatamente riportati.

Effettivamente in primo grado il Giudice del tribunale aveva omesso di pronunciarsi sulla domanda di risarcimento del danno. Ritiene questo Collegio che sussiste la responsabilità contrattuale dell’Agente di riscossione in ordine al maturare della prescrizione a causa di propria “inerzia nel corso dell’azione di esecuzione”; ne consegue che non è attribuibile alcun danno se la prescrizione è maturata prima dell’ inizio dell’azione esecutiva, e cioè prima della consegna del ruolo, nel qual caso l’eventuale prescrizione è ovviamente da attribuire all’Ente impositore.

Cioè, viene individuato un limite temporale nella ripartizione della responsabilità per inerzia, individuabile nel momento in cui avviene il passaggio della titolarità dell’azione di recupero dall’Ente impositore all’Ente di riscossione e che coincide con la data di consegna del ruolo.

Ciò posto, occorre previamente esaminare in diritto la questione della legittimità dell’azione di risarcimento del danno proposta dall’Ente impositore e creditore nei confronti dell’Ente di riscossione.

Osserva la Corte che fonte del diritto al risarcimento del danno può essere, nel nostro sistema legislativo, la normativa in tema di responsabilità contrattuale.

È applicabile, nel caso di specie, la disciplina dell’articolo 1218 c.c., che testualmente dispone che: “il debitore che non esegue la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l’inadempimento o il suo ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.

Altresì è da ritenere che l’Agente di riscossione, in forza di un impegno contrattuale, è obbligato a svolgere, secondo l’ordinaria diligenza del mandatario, di cui all’articolo 1710 c.c., tutte le azioni necessarie per assi- curare all’Ente creditore il recupero dei propri crediti.

Dunque, il Concessionario, nel caso di mancato recupero del credito risulta essere inadempiente, a causa di una propria inerzia (la prescrizione è caratterizzata dal mancato esercizio del diritto) ed è responsabile nei confronti dell’Ente impositore, a meno che non provi che la prescrizione sia maturata a causa di un comportamento a lui non imputabile.

Relativamente alla quantificazione del danno soccorre l’articolo 1223 del codice civile, secondo cui va quanti- ficato in riferimento al lucro cessante, cioè alla perdita subita dal creditore.

Ritiene, pertanto, il Collegio, che in virtù della vigente normativa codicistica in materia contrattuale, sia legittimamente configurabile la responsabilità per danni dell’Agente di riscossione per il risarcimento del danno dovuto dalla perdita del guadagno cagionata dalla prescrizione, dopo la consegna dei ruoli da parte dell’Ente impositore.

A confortare la validità di detta interpretazione è intervenuta a conferma, di recente la già menzionata sentenza della Cassazione, n. 27218 del 26 ottobre 2018, che ha così statuito: “Nel merito si osserva che l’affidamento in riscossione, ai sensi di legge e secondo le modalità pre- viste per le imposte dirette (L. n. 576 del 1980, art. 18, comma 5, seconda parte in relazione al d.p.r. 602/1973) comporta, per un verso, la preposizione del concessionario quale adiectus solutionis causa (art. 1188 c.c.) e per altro verso assume i contenuti propri del mandato, con rappresentanza ex lege, a compiere quanto necessario perchè il pagamento possa avvenire, in forma spontanea, oppure anche a dare corso alle azioni esecutive secondo la disciplina propria dell’esecuzione forzata speciale. Il diligente e tempestivo compimento degli atti esecutivi di tale complesso mandato è in sè in grado di comportare la salvaguardia del diritto rispetto all’estinzione per prescrizione e dunque anche l’assicurazione di tale effetto rientra a pieno titolo, ai sensi dell’art. 1710 c.c., nell’ambito della responsabilità del concessionario incaricato. Non potendosi in alcun modo dubitare che gli atti posti in essere dal mandatario, rappresentante ex lege, rispetto alla riscossione del credito, siano idonei al perseguimento degli effetti di cui agli artt. 2943 e 2945 c.c. Non può pertanto affermarsi a priori, come ha fatto la Corte territoriale, che il determinarsi, dopo l’affidamento in riscossione, della prescrizione non possa essere addebitata ad Equitalia e che solo il titolare del credito possa ritenersi legittimato ad interrompere il relativo termine. Semmai il giudice del rinvio potrà valutare, ricostruendo in toto la vicenda inerente l’incarico di riscossione, se ricorrano o meno elementi di colpa concorrente, rilevanti ex art. 1227 c.c., in capo all’ente mandante”.

Si può dunque concludere ritenendo che il Concessionario è responsabile, dopo la consegna del ruolo, per tutte le conseguenze derivanti da propria inerzia o erro- re (quali ad esempio: mancate comunicazioni, mancato svolgimento dell’azione esecutiva, mancate o tardive notifiche degli atti di riscossione) e che la quantificazione, trattandosi di danno patrimoniale, è effettuata ai sensi dell’articolo 1223 c.c., in riferimento al lucro cessante.

Contrariamente, per le prescrizioni maturate prima della consegna del ruolo o per diversi vizi di merito della pretesa creditoria le opposizioni vanno opposte all’avviso di accertamento dell’Ente impositore, che si assume le conseguenza in ordine all’eventuale prescrizione.

Ai sensi dell’articolo 1710 c.c. il Concessionario incaricato doveva compiere diligentemente e tempestiva- mente gli atti esecutivi per salvaguardare il diritto rispetto alla estinzione per prescrizione; nel caso de quo non potendosi dubitare che gli atti posti in essere dal mandatario non sono stati idonei alla riscossione del credito, quest’ultimo va condannato al risarcimento del danno pari all’importo dei crediti dichiarati prescritti. (Nello stesso senso anche Corte di Appello di Roma, n. 62/2020, Corte di Appello di Napoli, n. 3350/2019, Corte di Appello di Reggio Calabria, n. 550/2019; Corte di Appello di Milano, n. 2090/2019).

Va pertanto condannata l’Agenzia delle Entrate riscossione al risarcimento del danno corrispondente alla somma degli importi corrispondenti ad i crediti dichiarati prescritti e contenuti nelle seguenti cartelle:

euro 2840,94 pari all’importo contenuto nella cartella esattoriale n. 071 2007 0042562271/000;

euro 335,00, contenuto nella cartella esattoriale n. 071 2009 0164477755/ 000.

Conclusivamente l’Agenzia delle Entrate Riscossione va condannata al risarcimento del danno pari complessivamente pari ad euro 3195,94 (tremilacentono- vantacinque/94) oltre interessi legali decorrenti dalla domanda giudiziale al saldo in favore della Cassa di Previdenza e Assistenza Forense.

III. La soccombenza reciproca delle parti, la peculiarità della materia e la obiettiva complessità della questione trattata, oggetto di contrasti giurisprudenziali, costituiscono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio fra le parti.