Tribunale di Brescia, 29/09/2020
2/2021 MAGGIO-AGOSTO
Tribunale di Brescia, 29/09/2020, Giudice Ciocca, Galli (Avv. Gavioli) c. Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense (Avv. Laura Novi) e Agenzia delle Entrate-Riscossione (Avv. Venturiello).
Avvocato – Previdenza – Avvocato cittadino di un Paese extra UE – Iscrizione all’albo degli avvocati italiani – Obbligo iscrizione Cassa Forense – Sussistenza.
L’avvocato cittadino di un Paese extra UE, iscritto all’Albo professionale italiano ma che svolge attività prevalente nel detto Paese, ha l’obbligo di iscrizione alla Cassa forense qualora non sussista una convenzione tra i due Stati che disciplini specificatamente la materia previdenziale.
Fatto
Con ricorso depositato telematicamente il 23.2.2017, Marialuisa Galli conveniva in giudizio Cassa di Previdenza ed Assistenza Forense e Agenzia delle Entrate - Riscossione innanzi al Tribunale di Brescia, sez. Lavoro, dolendosi della illegittimità della pretesa recata dalla cartella di pagamento n. 022 2016 0029624277 000, di ammontare pari ad euro 3.410,88 a titolo di contribuzione previdenziale minima e per maternità in relazione all’anno 2014.
Nel dettaglio, la ricorrente esponeva di essersi stabilita in Australia sin dal 2007 e di essere iscritta all’Anagrafe Italiana dei Residenti all’Estero dall’1.2.2012, precisando al contempo di avere proceduto all’iscrizione all’Ordine degli Avvocati di Mantova nel corso del 2014 al fine di poter esercitare la professione forense secondo la normativa vigente nello Stato di residenza.
La lavoratrice deduceva di essere stata in seguito iscritta d’ufficio alla gestione di Cassa di Previdenza ed Assistenza Forense, in relazione alla quale, in data 17.2.2015, aveva presentato un’istanza di esonero o di esenzione che era stata rimasta tuttavia priva di riscontro, nonostante il documentato assoggettamento al regime previdenziale australiano nonché l’intervenuta stipula di una assicurazione sanitaria necessaria ai sensi della disciplina straniera.
Tanto premesso, Marialuisa Galli eccepiva innanzitutto la nullità della notifica della cartella di pagamento, in quanto eseguita a mezzo di posta elettronica certificata mediante l’inclusione di un allegato in formato con estensione .pdf, privo di sottoscrizione digitale. Oltre a ciò, la ricorrente si doleva dell’incostituzionalità della normativa regolamentare di attuazione dell’art. 21, c. 8 e c. 9, l. 247/2012 per violazione del principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 Cost., ritenendo che la disciplina in materia di professione forense fosse discriminatoria laddove non aveva previsto alcuna disposizione in relazione ai lavoratori attivi al di fuori dell’Unione Europea.
Inoltre, la professionista riteneva che l’iscrizione obbligatoria a Cassa di Previdenza ed Assistenza Forense determinasse un irragionevole aggravio di oneri e di costi, stante il contestuale assoggettamento al regime previdenziale australiano, in contrasto con quanto sancito dagli artt. 4 e 35 Cost.
Al medesimo tempo, Marialuisa Galli sosteneva che la pretesa di controparte concretasse una violazione degli obblighi internazionali previsti dalla Convenzione contro le doppie imposizioni siglata tra Italia e Australia il 14.12.1982 e ratificata con l. 292/1985. Oltre a ciò, la lavoratrice affermava che l’art. 21, c. 8 e c. 9, l. 247/2012 sarebbe altresì stato in contrasto con i principi comunitari in materia di concorrenza e, in particolare, con quanto previsto dall’art. 117 Cost., dall’art. 106 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, dall’art. 15 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea nonché dagli artt. 2, 3, 4, 33, 41 e 53 Cost.
La ricorrente censurava altresì la legittimità della cartella di pagamento in controversia in quanto recante un’obbligazione contributiva, e dunque una prestazione patrimoniale, priva di copertura normativa ai sensi dell’art. 23 Cost. Al contempo, Marialuisa Galli riteneva che la pretesa avversaria fosse incoerente e contraddittoria rispetto alle previsioni della medesima l. 247/2012, avendo quest’ultima inteso dare rilievo a criteri di merito e alle qualità intellettuali dei professionisti senza subordinare simili valutazioni ad alcun esborso per ragioni previdenziali.
Infine, la ricorrente sosteneva che il silenzio serbato da Cassa di Previdenza ed Assistenza Forense configurasse un inadempimento ai sensi dell’art. 23 dello Statuto dell’Ente ed avesse determinato sia una condizione di stress, sia numerosi inconvenienti di natura personale ed economica, così provocando un pregiudizio da doversi risarcire ovvero indennizzare secondo l’equo apprezzamento del Giudice.
In considerazione di tutto ciò, la lavoratrice invocava la declaratoria di nullità, di invalidità o di inefficacia della notificazione della cartella di pagamento in controversia; in via principale, poi, la stessa chiedeva di dichiarare l’illegittimità del provvedimento opposto nonché dell’iscrizione d’ufficio alla gestione della Cassa convenuta, con annullamento di ogni atto inerente e conseguente.
In ogni caso, la professionista domandava la condanna di controparte al risarcimento o all’indennizzo ritenuto di giustizia e, in subordine, invocava la declaratoria di esenzione dal pagamento dei contributi previdenziali richiesti, in applicazione della Convenzione contro le doppie imposizioni siglata tra Italia e Australia. Con vittoria delle spese di lite.
Si costituiva ritualmente in giudizio Cassa di Previdenza ed Assistenza Forense contestando in fatto e in diritto le deduzioni avversarie e domandando, in via riconvenzionale subordinata, che in caso di vizi di notificazione della cartella di pagamento la ricorrente fosse comunque condannata al pagamento della contribuzione omessa.
Nel resto, l’Ente convenuto escludeva che nel caso di specie trovasse applicazione una disciplina di fonte convenzionale relativa ai rapporti bilaterali tra Italia ed Australia e, al contempo, negava che l’art. 21, c. 8 e c. 9, l. 247/2012 presentasse dei profili di contrasto con la Carta costituzionale o con disposizioni sovranazionali.
In definitiva, la Cassa resistente riteneva di avere operato correttamente e sottolineava che l’iscrizione alla propria gestione previdenziale non si risolveva in un mero esborso per la professionista, essendovi esigenze solidaristiche nei confronti degli altri colleghi e potendo la stessa partecipare dei benefici assistenziali erogati in favore degli iscritti.
Da ultimo, Cassa di Previdenza ed Assistenza Forense contestava la sussistenza dei presupposti per una condanna al risarcimento o all’indennizzo di somme di denaro in relazione ai pregiudizi lamentati dalla lavoratrice. In conclusione, l’Ente convenuto domandava la reiezione delle pretese avversarie e, in subordine, chiedeva che Marialuisa Galli venisse condannata al versamento di un importo pari ad euro 3.371,22, oltre interessi legali dal dovuto al saldo effettivo. Con vittoria delle spese di lite.
Si costituiva altresì in giudizio Agenzia delle Entrate - Riscossione, eccependo in via preliminare la propria carenza di legittimazione passiva con riferimento ad eventuali vizi attinenti al merito della pretesa e, nel resto, sostenendo la legittimità della notificazione avvenuta a mezzo di posta elettronica certificata nonché, in ogni caso, il raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156 c.p.c. L’Agente della riscossione domandava pertanto il rigetto del ricorso. Con vittoria delle spese di lite.
In seguito, Marialuisa Galli depositava memoria di costituzione sulla domanda riconvenzionale svolta da Cassa di Previdenza ed Assistenza Forense, eccependone la nullità per indeterminatezza e, in ogni caso, insistendo nell’accoglimento delle conclusioni già formulate con l’atto introduttivo del giudizio. Con vittoria delle spese di lite.
All’udienza del 29.9.2020, il nuovo Giudice designato invitava le parti alla discussione e all’esito decideva come da dispositivo pubblicamente letto in udienza, riservando a sessanta giorni – ai sensi dell’art. 429 c.p.c. – il termine per il deposito delle motivazioni.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La presente decisione si adegua ai canoni stabiliti dall’art. 132, c. 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 118 disp. att. c.p.c., che prevedono una concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, con possibilità di fondarsi su precedenti conformi. Il ricorso non può essere accolto, per le ragioni di seguito illustrati. Va innanzitutto disattesa l’eccezione – in relazione alla quale risulta peraltro sussistente la legittimazione passiva di Agenzia delle Entrate - Riscossione – di nullità della notificazione della cartella di pagamento in controversia.
Da un lato, si deve infatti considerare che la doglianza svolta da Marialuisa Galli si sostanzia in una contestazione circa la regolarità formale di un atto esecutivo, sicché la relativa opposizione doveva essere proposta entro il termine di venti giorni ai sensi dell’art. 617 c.p.c., mentre la professionista ha ricevuto tale notifica in data 17.1.2017 e ha depositato il ricorso giudiziale in data 23.2.2017.
Dall’altro, e in ogni caso, occorre osservare che la censura della lavoratrice risulta generica, posto che non la stessa non ha negato di avere effettivamente ricevuto la comunicazione a mezzo di posta elettronica certificata, né si è doluta di una illeggibilità del documento ovvero di una difformità tra la copia allegata e il corrispondente originale, così che, come già osservato dalla giurisprudenza di merito, si potrebbe al più rilevare una “mera irregolarità della notifica della cartella e non la sua nullità …, soprattutto ove si consideri che la cartella di pagamento – della quale nemmeno nel formato cartaceo è prevista sottoscrizione – è contenutisticamente conforme allo schema di legge” (Trib. Milano, sez. lav., sent. 26.1.2018, r.g. 2067/2017).
Ne consegue che l’assunto difensivo di parte ricorrente non può essere condiviso. Ciò posto, nel merito non si ravvisa alcuna incostituzionalità o discriminazione tra la regolamentazione riservata ai professionisti operativi all’interno dell’Unione Europea e la disciplina relativa agli avvocati esercenti l’attività forense al di fuori di tali confini.
Va infatti considerato che il principio di eguaglianza, ai sensi dell’art. 3 Cost., impone un trattamento identico a fronte di situazioni corrispondenti e, viceversa, impone un trattamento diversificato a fronte di fattispecie tra loro differenti. Orbene, nel caso di specie, l’eterogeneità tra la posizione di Marialuisa Galli e la condizione di quanti prestano la libera professione forense nel contesto dello spazio euro-unitario appare manifesta, atteso che soltanto in quest’ultima ipotesi può trovare applicazione la disciplina normativa sancita a livello comunitario.
Diversamente, nei rapporti con altri Stati, occorre fare riferimento ad eventuali convenzioni bilaterali o multilaterali che non trovano fondamento nell’adesione dell’Italia all’Unione Europea, sicché ravvisare una ingiustificata disparità di trattamento in ragione di quanto previsto dall’attuazione regolamentare dell’art. 21, c. 8 e c. 9, l. 247/2012 presupporrebbe una indebita ed inammissibile estensione dell’ambito di operatività dei vincoli comunitari.
La censura di parte ricorrente deve, pertanto, essere respinta. Neppure si condivide la tesi secondo cui la pretesa recata dalla cartella di pagamento in controversia determinerebbe una violazione degli artt. 4 e 35 Cost. Da una parte, va infatti osservato che l’iscrizione a Cassa di Previdenza ed Assistenza Forense non si risolve in esborso, né tantomeno in un costo gravoso ed irragionevole, posto che la partecipazione alla gestione previdenziale offre non soltanto una tutela pensionistica, ma anche una tutela assistenziale di cui la ricorrente potrebbe in ipotesi giovarsi, laddove ne sussistano i relativi presupposti (cfr. in termini Trib. Foggia, sez. lav., sent. 16.7.2020, n. 1954).
Dall’altra parte, poi, Marialuisa Galli non ha allegato o documentato gli importi versati a titolo contributivo all’Ente australiano nel corso del 2014, sicché l’affermazione di una natura eccessivamente onerosa della richiesta avanzata dalla Cassa resistente – peraltro contenuta nei minimi regolamentari – si sostanzia in una mera petizione di principio, insuscettibile di verifica e di valutazione nel caso di specie.
La tesi di parte ricorrente deve essere dunque respinta. Né può trovare accoglimento la censura secondo cui la disciplina nazionale si porrebbe in contrasto con l’art. 117 Cost. e con la legge di ratifica della Convenzione contro la doppia imposizione nei rapporti tra Italia ed Australia. In primo luogo, occorre difatti osservare che tale trattato internazionale non trova applicazione nel caso in esame, in quanto lo stesso non concerne le ipotesi di una duplicazione di contribuzione previdenziale, ma esclusivamente le fattispecie – radicalmente differenti in punto di presupposti e di disciplina, anche costituzionale (cfr. Trib. Milano, sez. lav., sent. 26.1.2018, r.g. 2067/2017, cit.) – di duplice tassazione fiscale.
In secondo luogo, non può essere condivisa la tesi pro spettata da una parte della giurisprudenza di merito laddove è stato ritenuto che, in conseguenza di ciò, sussisterebbe un vuoto normativo che dovrebbe essere colmato in via interpretativa (cfr. Trib. Benevento, sez. lav., sent. 30.11.2018, n. 1533), atteso che vi sono al contrario sia una disciplina interna sia una disciplina straniera che regolamentano la fattispecie, seppur in modo tra loro concorrente e non armonizzato.
Da ultimo, si deve comunque considerare che la somma richiesta a Marialuisa Galli per l’anno 2014 attiene a contributi minimi obbligatori, la cui previsione “a carico di tutti gli esercenti la professione forense risponde alle esigenze solidaristiche della categoria ed è volta ad assicurare un trattamento previdenziale minimo anche nel caso di redditi percepiti modesti.
Pertanto la contribuzione previdenziale non è assimilabile all’imposizione tributaria vera e propria, ma deve considerarsi quale prestazione patrimoniale avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del regime previdenziale dei lavoratori interessati” (App. Milano, sez. lav., sent. 6.5.2019, n. 918). Ne consegue la reiezione della doglianza di parte ricorrente. Va parimenti disattesa la prospettazione secondo cui la debenza di minimi contributivi sarebbe in contrasto con le norme poste – a tutela della concorrenza – sia dalle fonti di derivazione euro-unitaria, sia dalle previsioni della Carta costituzionale.
La ricorrente si è invero limitata ad argomentazioni di carattere astratto, del tutto avulse dalla specificità del caso concreto, come emerge con evidenza se solo si considera che la stessa non ha allegato o quantomeno documentato l’ammontare del reddito prodotto nel corso dell’anno di riferimento. In tal senso, difetta qualsivoglia profilo di effettiva rilevanza circa le eccepite difformità della disciplina interna rispetto alla normativa sovranazionale o costituzionale, in particolare ove è stato fatto riferimento alla necessità di impedire “misure restrittive della concorrenza” (ricorso, p. 11) e di preservare un “minimo vitale per sopravvivere” (ricorso, p. 12).
La pretesa articolata da Marialuisa Galli deve, pertanto, essere respinta. Analogamente, non può essere accolta la censura di parte ricorrente ove ha sostenuto che il regime contributivo obbligatorio di Cassa di Previdenza ed Assistenza Forense violerebbe il disposto di cui all’art. 23 Cost. Diversamente da quanto affermato dalla professionista, invero, l’agire di parte convenuta non è stato caratterizzato da una sostanziale arbitrarietà o da una libertà pressoché assoluta in punto di copertura legislativa.
Al contrario, il regolamento che ha introdotto l’obbligo di versamento di una contribuzione annuale minima risulta attuativo dell’art. 21, c. 8 e c. 9, l. 247/2012 ed è stato peraltro approvato non soltanto dagli organi interni all’Ente, ma anche dal Ministero competente alla vigilanza sulle Casse previdenziali private (cfr. doc. 4, fascicolo Cassa), nel contesto dell’assetto normativo delineato dagli artt. 2 e 3 d.lgs. 509/1994.
La tesi di parte ricorrente deve essere dunque disattesa. Le doglianze di Marialuisa Galli risultano infondate anche laddove la lavoratrice ha affermato la contraddittorietà tra la disciplina in tema di contributi minimi obbligatori e l’intento legislativo volto a favorire l’accesso alla professione di avvocato, in particolare per le giovani generazioni, sulla base di requisiti di merito ai sensi degli artt. 1 e 3 l. 247/2012. Per un verso, si tratta di una censura che appare l’esito di un ragionamento astratto, privo di qualsiasi ancoraggio rispetto al caso concreto, così che non risulta possibile apprezzare un effettivo profilo di rilevanza della questione ai fini della decisione.
Per altro verso, la professionista non ha comunque considerato che Cassa di Previdenza ed Assistenza Forense si è in realtà conformata allo spirito della normativa primaria prevedendo una contribuzione ridotta per i giovani avvocati, in particolare ove questi ultimi non raggiungano una significativa soglia di fatturato. Va pertanto respinta ogni pretesa sul punto. Infine, non può essere accolta la domanda di condanna al pagamento di un risarcimento o di un indennizzo, da parte della Cassa convenuta, nella misura ritenuta di giustizia.
In primo luogo, le affermazioni di Marialuisa Galli in relazione al danno patito risultano generiche ed indeterminate, prive di una circostanziata e specifica allegazione in ordine all’insorgenza, alle caratteristiche e all’entità del nocumento. In secondo luogo, la ricorrente neppure ha offerto l prova di tale situazione di fatto, non essendovi riscontri 185 documentali, in particolare di carattere medico-legale, né richieste istruttorie idonee a dimostrare il danno lamentato e il relativo ammontare.
Da ultimo, occorre osservare che l’inerzia addebitata dalla lavoratrice a Cassa di Previdenza ed Assistenza Forense è, perlomeno in parte, dipesa dall’attesa con cui la stessa professionista ha ritenuto di agire in giudizio una volta decorso il termine per la formazione del rigetto implicito sulla domanda amministrativa.
Ne consegue che anche tale pretesa non può trovare accoglimento. In considerazione della particolare complessità delle questioni giuridiche in controversia ed altresì in ragione dell’assenza di precedenti di legittimità sul punto, si ritiene che sussistano giustificate ragioni che – ai sensi dell’art. 92 c.p.c. – inducono all’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.
La previdenza dell’avvocato extra UE
Se, per quanto riguarda la fattispecie di avvocati iscritti sia all’Albo italiano sia a quello di un Paese comunitario, i Regolamenti CEE n. 883/2004 e CE n. 987/2009 hanno fornito i criteri per la determinazione della legislazione previdenziale applicabile e se la Suprema Corte ha, ormai, confermato sia l’obbligo dichiarativo (Cass. n. 6776/2018) sia quello contributivo, relativamente al pagamento della contribuzione integrativa (Cass. n. 5376/2019), a carico di Avvocati iscritti anche in Albi professionali di un Paese U.E., meno delineato è l’ambito relativo ai professionisti iscritti contemporaneamente sia all’Albo italiano sia a quello di un Paese extra UE.
In tale fattispecie, già la Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 918/2019 aveva rilevato come la disciplina comunitaria sia applicabile unicamente ai professionisti italiani che svolgano la propria attività in un altro Paese dell’UE, mentre, nel caso di avvocati che esercitino attività professionale in Paesi extra UE, gli unici criteri per la determinazione della legislazione applicabile saranno dati da apposite Convenzioni disciplinanti la materia. Sulla stessa lunghezza d’onda si è posto il Tribunale bresciano.
Con sentenza del 29/09/2020, infatti, il predetto Tribunale ha rigettato il ricorso promosso da una professionista che contestava la legittimità dell’iscrizione alla Cassa, ex art. 21 l. n. 247/2012, a decorrere dall’anno 2014, in quanto, pur essendo residente in Australia sin dal 2012, aveva mantenuto l’iscrizione all’Albo professionale di Mantova al fine di potere svolgere la professione nel Paese di residenza. In primo luogo, si evidenzia che la professionista aveva sollevato l’eccezione di incostituzionalità della normativa regolamentare di attuazione dell’art. 21, c. VIII e IX, l. n. 247/2012, ritenendo come la disciplina in materia di professione forense fosse discriminatoria laddove non aveva previsto alcuna disposizione in relazione ai lavoratori attivi al di fuori dell’Unione Europea.
Il Tribunale bresciano, al riguardo, ha ritenuto, invece, come la ratio dell’art. 3 della Costituzione sia quella di imporre un trattamento identico a fronte di situazioni corrispondenti e un trattamento diversificato a fronte di fattispecie tra loro differenti. Partendo da tale presupposto, la sentenza in oggetto ha ritenuto come la disciplina normativa sancita a livello comunitario possa trovare applicazione solo in fattispecie relative allo spazio comune europeo, diversamente, nei rapporti con altri Stati, occorra far riferimento a eventuali convenzioni bilaterali o multilaterali non potendosi fare riferimento, tantomeno, in via interpretativa, alla disciplina comunitaria, atteso che sussistono sia una disciplina interna sia una disciplina straniera che regolamentano la fattispecie.
Alla luce di quanto esposto, il Tribunale di Brescia ha ritenuto che la Convenzione contro le doppie imposizioni siglata tra Italia e Australia il 14/12/1982 e ratificata con l. 292/1985, non può trovare applicazione al caso in oggetto, riferendosi la stessa, non alle ipotesi di una duplicazione di contribuzione previdenziale, ma, esclusivamente, alla fattispecie differente di duplice tassazione fiscale. Tale assunto è, peraltro, confermato dal fatto che la contribuzione previdenziale non può essere assimilata all’imposizione tributaria vera e propria ma deve considerarsi quale prestazione patrimoniale avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del regime previdenziale dei lavoratori interessati.