A ciascuno la sua “Quota 100”

3/2018 SETTEMBRE - DICEMBRE

di Manuela Bacci

Il contratto di governo sottoscritto qualche mese fa dai due leader delle forze politiche che attualmente compongono l’esecutivo ha previsto, in materia di pensioni, di pervenire all’ “abolizione degli squilibri del sistema previdenziale introdotti dalla riforma delle pensioni c.d. Fornero” e di dare “fin da subito la possibilità di uscire dal lavoro quando la somma dell’età pensionabile e degli anni di contributi del lavoratore è almeno pari a 100, con l’obiettivo di consentire il raggiungimento dell’età pensionabile con 41 anni di anzianità contributiva”.

Attorno a questa misura, denominata appunto “quota 100”, si è sviluppato un acceso dibattito alimentato anche dalla bocciatura della manovra economica da parte della Commissione Europea e dalle trattative attualmente in corso con il presidente della Commissione per evitare la procedura di infrazione nei confronti dell’Italia. Malgrado non sia ancora ben chiaro da quando e come concretamente dovrebbe operare la misura che si vorrebbe introdurre, sotto il profilo dei requisiti richiesti, invece, è ormai pacifico che il pensionamento dovrebbe essere consentito solo a coloro che abbiano raggiunto un’età anagrafica di almeno 62 anni, unitamente ad un’anzianità contributiva di almeno 38 anni.

Sarebbe pertanto negato l’accesso al pensionamento a chi, a fronte di un’età minore, abbia versato un maggior ammontare di contributi (per esempio 61 anni di età e 39 anni di contributi) oppure a chi abbia maggiore anzianità anagrafica ma minore anzianità contributiva (per esempio 63 anni di età e 37 anni di contributi). Inoltre pare ormai certo che chi sceglierà di anticipare il pensionamento, accedendo alla nuova misura, non lo farà in maniera indolore, in quanto l’importo che percepirà sarà inferiore a quello che riceverebbe se restasse in attività fino a 67 anni. Sul punto, lo scontro dialettico è molto vivace.

A coloro che prospettano una riduzione dell’assegno pensionistico pari al 30% si contrappongono coloro che ipotizzano invece una riduzione intorno al 20%, e comunque non superiore al 25%. Secondo altri (“Quota 100, davvero non conviene?” A cura di M. Camilleri e M. Guarino che si avvalgono di alcune simulazioni elaborate dal Centro studi e Ricerche Itinerari Previdenziali) sarebbe un errore fermarsi alla mera valutazione dello svantaggio derivante dal minore importo pensionistico senza considerare altri fattori che potrebbero portare a risultati di maggiore convenienza, quali la somma delle rate di pensione incassate in anticipo, o “il risparmio” sulla contribuzione aggiuntiva che il lavoratore dovrebbe versare nel caso in cui preferisse accedere al pensionamento di vecchiaia ordinario.

Al di là delle valutazioni tecniche, è comunque assolutamente razionale che in presenza di una minore anzianità contributiva l’importo di pensione percepito sia necessariamente minore, in quanto una diversa alternativa, che vedesse quantificare l’importo della pensione spettante al lavoratore negli stessi termini di quelli pre- riforma, pur in presenza di una minore anzianità contributiva, non sarebbe finanziariamente sostenibile. D’altro canto, detta conclusione appare perfettamente in linea con i principi generali in materia di autofinanziamento delle pensioni, dovendosi inevitabilmente fare i conti con un minore ammontare complessivo di versamenti effettuati dal lavoratore nel corso della propria vita lavorativa.

La misura sopra descritta ha suscitato profonda curiosità tra gli avvocati, e la domanda che in questo periodo in molti pongono è relativa alla possibilità di fruire essi stessi dell’applicazione della c.d. “quota 100”. Si potrebbe rispondere semplicemente evidenziando che il sistema previdenziale forense è completamente autonomo e disciplinato da propri regolamenti. Tuttavia gli interrogativi formulati offrono lo spunto per sottolineare come nella nostra disciplina previdenziale un istituto operante con criteri similari a quello della c.d. “quota 100” sia stato concepito e introdotto già con la Riforma del 2010.

Come è noto il sistema previdenziale forense è stato oggetto di una profonda riforma strutturale (entrata in vigore nel 2010) resa necessaria per garantire la sostenibilità dell’Ente per un periodo che la legge finanziaria del 2007 indicava in 30 anni (portati poi a 50 anni nel 2012 con il Decreto “salva Italia” del Governo Monti). Per raggiungere il risultato della sostenibilità trentennale si era dovuto operare sia sulla leva dei contributi che su quella delle prestazioni. Riguardo al primo profilo la Riforma aveva previsto l’aumento del contributo integrativo dal 2% al 4%, l’aumento del contributo soggettivo e della contribuzione minima, nonché l’introduzione del contributo modulare, in parte anche obbligatorio. Relativamente alle prestazioni la Riforma, oltre ad aver cambiato i coefficienti per il calcolo delle pensioni e aver previsto la progressiva eliminazione dei supplementi, aveva modificato i limiti di accesso alle pensioni di vecchiaia e di anzianità, innalzandone gradualmente i requisiti.

In particolare: per la pensione di vecchiaia venivano elevati da 65 a 70 anni il requisito anagrafico e da 30 a 35 anni il requisito di anzianità contributiva; per la pensione di anzianità il requisito anagrafico veniva elevato da 58 a 62 anni e quello contributivo da 35 a 40 anni. Come si è detto, era stato previsto che l’innalzamento dei suddetti requisiti fosse distribuito in maniera graduale fino al 2021, momento nel quale la riforma entrerà pienamente a regime. Pertanto riguardo alla pensione di vecchiaia, i requisiti attualmente richiesti per accedervi sono 69 anni di età e almeno 34 di effettiva iscrizione che dal 1° gennaio 2021 diventano, come si è detto, 70 anni di età e almeno 35 anni di effettiva iscrizione. Tuttavia, proprio allo scopo di mitigare la rigidità dei nuovi limiti (di anzianità anagrafica e contributiva) sopra indicati e di dare la possibilità all’iscritto di operare scelte alternative, la Riforma ha introdotto il nuovo istituto della pensione di vecchiaia anticipata.

1. Pensione di vecchiaia anticipata. Il professionista può scegliere liberamente di anticipare il pensionamento e di accedervi in un’età compresa tra i 65 e i 70 anni, fermo in ogni caso il requisito minimo di anzianità contributiva previsto per la pensione di vecchiaia (attualmente 34 anni e, a partire dal 2021, 35 anni). Naturalmente, proprio per le ragioni sopra evidenziate, legate, da un lato, alla necessità di garantire la sostenibilità del sistema previdenziale e, dall’altro, al rispetto dei principi che regolano l’autofinanziamento delle pensioni, nel caso in cui l’iscritto decida di anticipare il momento del pensionamento, subisce una riduzione dell’assegno di pensione, diversamente quantificata a seconda del quantum di anticipazione rispetto all’età anagrafica prevista. Infatti, l’importo di pensione viene ovviamente calcolato sulla base dell’anzianità maturata fino al momento del pensionamento, ma è ridotto dello 0,41 % per ogni mese (corrispondente al 5% per ogni anno) di anticipo rispetto al requisito anagrafico richiesto (attualmente 69 anni e, a partire dal 2021, 70 anni).

Tale meccanismo permette al nostro Ente di previdenza di compensare sia i costi sostenuti per l’anticipazione del pagamento del rateo pensionistico sia le minori entrate contributive conseguenti al pensionamento. E consente inoltre, da un lato, di non penalizzare chi decide di permanere più a lungo nel sistema e, dall’altro, di non concedere benefici ingiustificati a chi invece decide di uscirne anticipatamente. Quindi il professionista che sceglierà di andare in pensione di vecchiaia a 65 anni, con 35 anni di contribuzione, percepirà un importo di pensione ridotto, attualmente del 20% e, dal 2021, del 25%. Detta ipotesi può ragionevolmente considerarsi il pendant della c.d. “quota 100”, attualmente al centro del dibattito nazionale. Proseguendo nel ragionamento, in base ai requisiti anagrafici e contributivi attualmente richiesti, è possibile fino a tutto il 2020 accedere al pensionamento addirittura a “quota 99” (65 anni di età e 34 anni di anzianità contributiva).

Ma il sistema previdenziale forense è così fortemente improntato alla logica della flessibilità che, come si è detto, in presenza di versamenti contributivi pari a 35 anni, consente all’iscritto di accedere liberamente al pensionamento anche a 66 anni (“quota 101”), a 67 anni (“quota 102”) e cosi via, con riduzioni dell’importo di pensione diverse a seconda dell’anticipazione rispetto al 70° (ora 69°) anno di età. Non viene invece operata alcuna decurtazione dall’importo di pensione nel caso in cui l’iscritto al momento del raggiungimento del 65°anno di età, ovvero al momento successivo della trasmissione della domanda di pensione, abbia maturato un’anzianità contributiva pari a 40 anni. E’ opportuno evidenziare come, diversamente da quello che dovrebbe avvenire per la c.d. ”quota 100” - per la quale opererebbe fino al raggiungimento dei 67 anni di età il divieto di cumulare la pensione con altre entrate legate ad attività professionali o di collaborazione saltuaria - la pensione di vecchiaia (con o senza anticipazione), cosi come prevista nel sistema previdenziale forense, consentendo di mantenere l’iscrizione agli Albi, permette all’avvocato di continuare a svolgere l’attività professionale.

Naturalmente il pensionato è tenuto a corrispondere (oltre al contributo integrativo e a quello di maternità) la contribuzione soggettiva, che è determinata in misura analoga a quella ordinaria (14,5%) se l’avvocato pensionato ha diritto alla liquidazione del supplemento di pensione, o in misura dimezzata (7,25%) se ha già maturato il supplemento o se, comunque, non ne ha più diritto. La riforma del 2010, infatti, ha previsto che non sono più liquidati supplementi alle pensioni con decorrenza successiva al 1° gennaio 2021, delineando fino a tale data un lungo ed articolato periodo transitorio. Per completezza si rammenta che la contribuzione versata dal pensionato di vecchiaia (con o senza anticipazione) ancora in attività, non potendo essere valorizzata ai fini della liquidazione di supplementi, dà comunque diritto, al momento della cancellazione da tutti gli Albi, ad una prestazione contributiva pari al 2,25% (2,50% dal 2021) del reddito dichiarato entro il tetto pensionabile.

2. Pensione di anzianità. Infine, merita un esame, sia pur breve, la pensione di anzianità, che, a differenza di quella di vecchiaia, richiede la cancellazione sia dall’Albo degli Avvocati che da quello dei Cassazionisti ed è incompatibile con la reiscrizione ad uno dei suddetti Albi. Considerando i requisiti previsti per la sua erogazione, si può dire che la pensione di anzianità oggi viene concessa a “quota 100” e dal 2020 a “quota 102”, in quanto attualmente (e fino al 31.12.2019) si richiede che l’iscritto abbia maturato 61 anni di età e almeno 39 anni di anzianità contributiva, mentre dal 2020 l’età anagrafica richiesta salirà a 62 anni e quella contributiva a 40 anni. Per continuare nel parallelo con le misure pensionistiche che l’attuale Esecutivo si propone di attuare, si può rilevare una analogia tra la nostra pensione di anzianità - a regime- e la misura denominata “quota 41”, che dovrebbe consentire di accedere alla pensione anticipata (ex pensione di anzianità) con il conseguimento di 41 anni di anzianità contributiva a fronte degli attuali 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne previsti dalla riforma Fornero.

In conclusione, è possibile affermare che il sistema previdenziale forense -cosi come concepito dal Comitato dei Delegati che negli anni compresi tra il 2005 e il 2009 ha elaborato la Riforma- ha anticipato il ricorso a soluzioni innovative che, attraverso lo strumento della flessibilità, rispondono alle esigenze, ancora fortemente sentite, di compensare lo svantaggio derivato dall’aumento dell’età pensionabile che si era reso necessario per le sopra ricordate ragioni di sostenibilità del sistema.