Diseguaglianze di genere, divari reddituali e squilibri pensionistici

3/2020 SETTEMBRE - DICEMBRE

di Ida Grimaldi

1. Il gender pay gap

Il divario di genere rappresenta una delle ingiustizie sociali più diffuse a livello globale e, nel nostro Paese, rappresenta un problema molto grave e sentito; lo dice il World Economic Forum che, con il suo Global Gender Gap Report, ci indica anno per anno a che punto ci collochiamo come Paese per quanto riguarda il divario di diseguaglianza di genere.

Il Global Gender Gap Index è stato introdotto nel 2006 e fornisce un quadro dei divari di genere in tutto il mondo, evidenziando anche la classifica dei Paesi. Il World Economic Forum del 2020 attesta che l’Italia, nel 2019, si trova collocata al 76esimo posto su 153 Paesi: tra i 20 stati di Europa Occidentale, dopo il nostro Paese, ci sono solo Grecia, Malta e Cipro.

Ancora peggio per quanto riguarda la partecipazione economica delle donne nel mondo del lavoro ove l’Italia è collocata al 125esimo posto su 173 Paesi.

Anche secondo l’Unione Europea l’Italia non garantisce parità sul lavoro né giusta retribuzione alle donne; la “bocciatura” delle politiche italiane, come quelle di altri 14 paesi dell’UE su 15 (unica promossa la Svezia), arriva dal Consiglio Europeo dei Diritti Sociali (Ceds), secondo il quale l’Italia non ha messo in campo sufficienti misure per assicurare pari opportunità sul luogo di lavoro e non garantisce una pari retribuzione alle donne.

Il Comitato ha identificato, quindi, i seguenti obblighi per gli Stati: a) riconoscere il diritto alla parità di retribuzione per pari lavori o lavori di pari valore nella loro legislazione; b) assicurare l’accesso a rimedi efficaci per le vittime di discriminazione salariale; c) garantire la trasparenza salariale e consentire confronti retributivi; d) mantenere efficaci organismi per l’uguaglianza e le istituzioni pertinenti al fine di garantire la parità di retribuzione nella pratica.

Il diritto alla parità di retribuzione implica, inoltre, l’obbligo di adottare misure per promuoverlo; obbligo che, come spiega il Ceds, è composto di due elementi: la raccolta di dati, affidabili e standardizzati, per misurare e analizzare il divario retributivo di genere e l’elaborazione di politiche e misure efficaci, volte a ridurre il divario retributivo di genere sulla base di un’analisi dei dati raccolti.

Anche per il Ministero dell’Economia e Finanza l’Italia è tra le ultime in termini di divario sul lavoro, ove le donne hanno meno possibilità di occupazione, diversità di redditi e stipendi inferiori.

È quanto emerge dalla relazione sul bilancio di genere del MeF. Il dossier, presentato dalla sottosegretaria Cecilia Guerra, in sede di audizione del 20 ottobre 2020 in Commissione Bilancio di Senato e Camera, utilizza 128 indicatori diversi dei divari di genere nell’economia e nella società, elaborati da istituzioni italiane (Inps e Istat) ed europee. Dalla relazione è emerso che il reddito medio delle donne rappresenta circa il 59,5% di quello degli uomini a livello complessivo. In tale sede è stato rilevato che queste disuguaglianze sono in larga parte il riflesso della “specializzazione” di genere tra lavoro retribuito e non retribuito, in virtù del quale le donne più frequentemente accettano retribuzioni inferiori a fronte di vantaggi in termini di flessibilità e orari.

Molto preoccupanti, secondo il dossier, sono anche i dati dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro sulle dimissioni e risoluzioni consensuali delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri che, oltre ad un continuo aumento dal 2011, segnalano, anche per il 2019, un fortissimo divario di genere: le dimissioni volontarie coinvolgono le madri nel 73% dei casi. La motivazione più ricorrente è l’impossibilità di conciliare l’occupazione con il lavoro di cura, soprattutto in assenza di reti familiari di supporto. La forte discriminazione, dunque, va ricercata all’interno dei ruoli familiari: di solito, le donne fanno più ore di lavoro non retribuito rispetto agli uomini e prendono più periodi di assenza dal lavoro per prendersi cura degli altri.

E sono questi aspetti che incidono sulla possibilità di fare carriera e sollevano diverse questioni sulla distribuzione del carico di lavoro (retribuito e non) tra i sessi.

Il lavoro di cura informale, quello svolto gratuitamente, infatti, non produce reddito, ma fa risparmiare molti soldi alle famiglie e alla collettività. Nell’ambito del lavoro di cura, quello svolto dal caregiver familiare, in altre parole colui che assiste il congiunto con disabilità, quale genitore anziano o coniuge o figlio invalido, è particolarmente oneroso e comporta sofferenza, affaticamento, afflizione per sovraccarico di responsabilità.

A ciò si aggiungono le difficoltà economiche, oltre che per i costi delle cure mediche, anche per il fatto di trovarsi costretti a ridurre il lavoro retribuito o a rinunciarvi per prestare assistenza: è stato stimato che il 66% dei caregivers familiari lascia il lavoro. Il lavoro non retribuito di assistenza e di cura alla persona costituisce, dunque, uno fra i principali ostacoli alla partecipazione delle donne al mercato del lavoro.

2. L’impatto di genere sulle pensioni: le politiche europee

La parità di genere è un valore fondamentale dell’Unione Europea, è un motore riconosciuto per la crescita economica. Il principio della parità retributiva per uno stesso lavoro, o per uno di pari valore, è sancito dai Trattati, a partire da quello di Roma del 1957, ed è previsto oggi dagli articoli 2 e 3 del Trattato sull’Unione Europea e dagli artt. 8, 155 e 157 del Trattato sul funzionamento dell’UE. In particolare il Trattato di Lisbona del 2009, non solo ha riaffermato il principio di uguaglianza tra donne e uomini, anche in ambito lavorativo, ma lo ha inserito tra i valori dell’Unione.

L’Unione Europea è, dunque, all’avanguardia nel mondo per la parità di genere: 14 tra i primi 20 Paesi al mondo per l’attuazione della parità di genere sono Stati membri dell’UE; tuttavia, nessuno Stato membro ha raggiunto la piena parità di genere. Per questo la Commissione Europea in materia di parità di genere ha definito, con comunicazione del 5.3.2020 della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni1 gli obiettivi politici e l’azione chiave per il periodo 2020-2025, che sono i seguenti:

1. Liberarsi dalla violenza e dagli stereotipi;

2. Realizzarsi in un’economia basata sulle parità di genere;

3. Svolgere in pari misura ruoli dirigenziali nelle società;

4. Integrare la dimensione di genere e promuovere una prospettiva intersezionale nelle Politiche dell’UE;

 5. Finanziare azioni che consentano di compiere passi avanti in materia di parità di genere nell’UE;

6. Affrontare il problema della parità di genere e dell’emancipazione femminile a livello mondiale.

Anche se, quando si parla di gender gap, si pensa soprattutto alle differenze di redditi tra uomini e donne, o allo squilibrio tra presenza femminile e maschile in ruoli apicali, va rilevato che la discriminazione di genere pesa anche sulle pensioni: il divario di genere a livello occupazionale e retributivo, che si accumula nell’arco di una vita, porta ad un divario pensionistico ancor più accentuato e, di conseguenza, porta le donne in età avanzata a un maggior rischio di povertà rispetto agli uomini.

Secondo i dati Istat anni 2017-2018 in media il reddito pensionistico delle donne è il 27,9% rispetto agli uomini; uno sguardo più attento al divario di genere nelle pensioni aiuta, dunque, analisti e politici a comprendere questo fenomeno e a ripensare a politiche adeguate.

Tra i primi fattori che determinano il divario di genere nelle pensioni vi è, ovviamente, la storia occupazionale della persona in termini di anni di lavoro.

Le carriere delle donne sono più brevi, principalmente a causa del loro ruolo e degli impegni familiari: la maternità e la cura dei minori, dei familiari anziani, malati o disabili e di altre persone a carico, rappresentano un lavoro supplementare o talvolta a tempo pieno, gratuito, quasi esclusivamente delle donne e ciò ha un impatto enorme sulla loro capacità di accumulare una pensione completa.

I risultati empirici confermano, inoltre, una forte correlazione tra i numeri dei figli cresciuti da una donna e il divario pensionistico di genere.

Inoltre, gli analisti identificano un c.d. “divario retributivo di maternità”, ove emerge che le donne con figli a carico sono pagate meno di quelle senza figli. Nella Risoluzione del Parlamento Europeo del 30 gennaio 2020² sul divario retributivo di genere, emerge la forte preoccupazione circa le ripercussioni del divario retributivo di genere sul reddito pensionistico.

Tra le varie considerazioni esposte in detta risoluzione emerge come:

“la povertà tra le persone di età pari o superiore a 75 anni è sostanzialmente concentrata tra le donne, principalmente a causa dell’impatto dei compiti di assistenza non remunerati legati al genere, delle differenze di retribuzione e orario di lavoro lungo l’intero arco della vita con le pensioni più basse che ne conseguono, delle differenti età pensionabili per uomini e donne in alcuni Stati membri e del fatto che più donne anziane vivono da sole”.

“il rischio di povertà e la minore autonomia finanziaria causati dal divario retributivo e pensionistico di genere espongono le donne alla violenza di genere, in particolare alla violenza domestica, rendendo per lo più difficile sottrarsi a una relazione violenta”.

Secondo le Nazioni Unite quasi il 35% delle donne a livello mondiale subisce molestie psicologiche o sessuali sul luogo di lavoro o, ancora, molestie con “gravi conseguenze in termini di aspirazioni personali e professionali; tali molestie sono dannose per l’autostima delle donne e la loro posizione negoziale in vista di una retribuzione più equa”. 

“le cause del divario retributivo di genere e dei relativi divari in materia di salari e pensioni sono numerose, strutturali e spesso interconnesse”.

Esse possono essere suddivise in due componenti: la prima può essere apparentemente spiegata dalle differenti caratteristiche di donne e uomini sul lavoro; la seconda non trova alcuna spiegazione apparente in tali caratteristiche e costituisce la “componente dominante del divario retributivo di genere in quasi tutti i Paesi del mondo”. Tale seconda componente può essere attribuita agli stereotipi di genere, alla discriminazione retributiva e alla frequente sottovalutazione del lavoro a predominanza femminile, che può essere diretta o indiretta e rimane un fenomeno occulto, che deve essere affrontato in modo più efficace.

Il Parlamento Europeo, dunque, con la citata risoluzione,

- invita gli Stati membri ad investire adeguatamente nella fornitura, nell’accessibilità, anche economica, e nella qualità dei servizi di educazione e cura della prima infanzia, utilizzando i fondi strutturali e di investimento europei in linea con gli obiettivi di Barcellona, nonché a investire in servizi di assistenza a lungo termine e in modalità di lavoro conciliabili con gli impegni familiari per garantire la partecipazione paritaria e continua delle donne al mercato del lavoro;

- ribadisce che, per contrastare il rischio di povertà tra le donne anziane e affrontare le cause del divario retributivo di genere, gli Stati membri dovrebbero garantire che siano adottati provvedimenti adeguati per le donne anziane, comprese misure quali crediti per periodi di assistenza, pensioni minime adeguate, prestazioni di reversibilità e diritti a periodi di congedo per motivi familiari per gli uomini, al fine di prevenire la femminilizzazione della povertà;

- invita il Consiglio a introdurre obiettivi di assistenza per gli anziani e le persone con familiari a carico simili agli obiettivi di Barcellona in materia di assistenza all’infanzia;

- invita la Commissione e gli Stati membri a contrastare la segmentazione del mercato del lavoro sulla base del genere, investendo nell’istruzione formale, informale e non formale, nonché nell’apprendimento permanente e nella formazione professionale delle donne al fine di garantire loro l’accesso a posti di lavoro di qualità e di offrire loro la possibilità di riqualificarsi e di migliorare le proprie competenze per adeguarsi alle future evoluzioni del mercato del lavoro;

- invita infine gli Stati membri a rafforzare la protezione della maternità, della paternità e della genitorialità nella legislazione sul lavoro, oltre ad investire nella fornitura di una rete pubblica gratuita di servizi di accoglienza e d’istruzione della prima infanzia e di servizi di accoglienza a lungo termine.

Rileva che la scarsa disponibilità, i costi proibitivi e la mancanza d’infrastrutture sufficienti per servizi di accoglienza dell’infanzia di qualità rimangono un ostacolo significativo, in primo luogo, alla pari partecipazione delle donne a tutti gli aspetti della società, compresa l’occupazione.

Conclusioni

Colmare le disparità di genere oggi per ridurre il rischio di penalizzanti squilibri futuri: questo il monito. Occupazione e politiche per la famiglia, in tal senso, sono un intreccio importante: lo Stato deve investire nei servizi sanitari e sociali, nell’istruzione e formazione, al fine di realizzare gli obiettivi sullo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, sottoscritti dall’Italia, al fine di assicurare il lavoro dignitoso e i servizi di qualità nel settore dell’assistenza e della cura della persona.