Il lavoro domestico ai tempi del coronavirus

1/2020 GENNAIO-APRILE

di Fernando Caracuta

Da quando è scoppiata l’emergenza Covid 19, il Governo è intervenuto più volte, con diversi atti normativi, straordinari ed eccezionali, che hanno fortissime, e sino ad oggi inimmaginabili, ricadute sulla nostra vita, sulle nostre ataviche certezze, sui nostri diritti costituzionali. Tra questi ultimi, può senz'altro annoverarsi quello alla libera iniziativa economica ed imprenditoriale e quello al lavoro.

La continua normativa, che in questo periodo si sussegue in modo quasi alluvionale e che, per ciò stesso, è idonea a creare palesi difformità o vere e proprie contraddizioni, pone l’interprete di fronte all'impegno di poterne dare una lettura quanto più rispondente ai principi generali dell’ordinamento e ai valori costituzionali ad esso sottesi. In questo contributo, ci occuperemo del lavoro domestico, che conta circa 860.000 lavoratori, di cui un pò più della metà è rappresentato da badanti.

Tra gli ammortizzatori sociali previsti dal Governo per questa emergenza, l’art. 22 D.L. n. 18 del 17 marzo 2020, cd. “Cura Italia”, rubricato “nuove disposizioni per la Cassa integrazione in deroga”, al 1° comma, prevede delle nuove misure per la Cassa Integrazione in Deroga nei confronti dei datori di lavoro privati, ivi inclusi quelli agricoli, della pesca e del terzo settore, compresi gli enti religiosi civilmente riconosciuti.

Al 2° comma, sono invece esclusi, da tale ammortizzatore sociale, i datori di lavoro domestico; a dire il vero, non si riesce a comprendere la ratio di tale esclusione per un comparto che ha numeri così rilevanti e che svolge un importantissimo ruolo nella nostra società.

A tal proposito, da più parti si sta sollecitando il Governo, affinché, in occasione della conversione del citato decreto legge, possa essere prevista, anche per i lavoratori domestici, la possibilità di accedere alla Cassa integrazione in deroga.

Cosa che, in realtà, poi non è accaduto, in quanto, in sede di conversione, nessuna previsione ha riguardato il lavoro domestico. Ciò detto, si ritiene che ai lavoratori domestici sia applicabile quanto disposto dall’art. 44 del surrichiamato D.L. n. 18/2020 che prevede l’istituzione di un Fondo per il reddito di ultima istanza a favore dei lavoratori (dipendenti e autonomi) che, a causa dell’emergenza per l’epidemia da Covid 19, hanno cessato, ridotto o sospeso la loro attività o il loro rapporto di lavoro: ad essi verrà, dunque, corrisposta un’indennità.

Per quei lavoratori domestici, invece, che continuano a svolgere la propria attività lavorativa e che, nell’anno 2019, hanno posseduto un reddito complessivo da lavoro dipendente non superiore a 40.000 euro, dovrebbe applicarsi l’art. 63 del citato D.L. n. 18 che prevede la corresponsione di un premio di 100 euro, per il mese di marzo, rapportato al numero dei giorni di lavoro svolti, nello stesso mese, nella propria sede di lavoro.

L’art. 29 del surrichiamato D.L. n. 18/2020 prevede, inoltre, la sospensione dei termini per il pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l’assicurazione obbligatoria in scadenza nel periodo dal 23 febbraio 2020 al 31 maggio 2020 e la possibilità di effettuare il relativo pagamento entro il 10 giugno. Successivamente, con il D.L. approvato il 13 maggio 2020 (c.d. Decreto rilancio), all’art. 90, è stato previsto che, per i lavoratori domestici che abbiano in essere, alla data del 23 febbraio 2020, uno o più contratti di lavoro per una durata complessivamente superiore a 10 ore settimanali è riconosciuta, per i mesi di aprile e maggio, un’indennità mensile pari a 500 euro per ciascun mese.

Tale indennità non è dovuta, tuttavia, per i lavoratori domestici conviventi con il datore di lavoro e non è cumulabile con altre indennità riconosciute da precedenti disposizioni normative emanate nel periodo di emergenza Covid 19, a qualsiasi titolo (rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, lavoratori agricoli, lavoratori stagionali del settore turismo e degli stabilimenti termali, lavoratori autonomi iscritti alla gestione Ago, lavoratori dello spettacolo).

Questa indennità non spetta, inoltre, a chi percepisce il reddito di cittadinanza o quello di emergenza, nel caso in cui l’ammontare del reddito di cittadinanza o emergenza sia pari o superiore alla predetta indennità. Nei confronti dei lavoratori appartenenti a nuclei familiari che percepiscono il reddito di cittadinanza, per i quali il relativo ammontare sia inferiore rispetto all'indennità in questione, si provvederà ad integrare il reddito di cittadinanza fino all'ammontare di tale indennità.

L’indennità in questione, infine, non spetta ai titolari di pensione, fatta eccezione per chi percepisce l’assegno ordinario di invalidità, che spetta nei casi in cui la capacità di lavoro dell’assicurato si ridotta in modo permanente a causa di infermità o difetto fisico o mentale a meno di un terzo, nonché ai lavoratori dipendenti a tempo indeterminato diverso dal lavoro domestico.

Ci si è chiesto, inoltre, se ai lavoratori domestici debba applicarsi il divieto di licenziamento introdotto dall’art. 46 D.L. n 18/2020. Tale norma, in particolare, ha così disposto: “A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223 è precluso per 60 giorni e nel medesimo periodo sono sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020.

Sino alla scadenza del suddetto termine, il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604”.

Per effetto di tale disposizione, dunque, sono stati sospesi, sino alla data del 17 maggio, tutti i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo. Con l’art. 83 del succitato Decreto rilancio, le parole 60 giorni sono state sostituite da cinque mesi, con la conseguenza che tale divieto di licenziamento sarà operante sino al 17 agosto 2020 Tale disposizione, invero, sembra introdurre, nel nostro ordinamento, un generale divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo che, come noto, configura un recesso dal rapporto di lavoro per un motivo oggettivo che può consistere in una riduzione di personale o di commesse ovvero nella necessità di una riorganizzazione o ristrutturazione aziendale.

Nel fare ciò, essa richiama l’art. 3 della legge n. 604/1966 che obbliga il datore di lavoro che intenda recedere da un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a dover fornire al lavoratore un’adeguata e compiuta motivazione in ordine all'esistenza di una valida ed oggettiva ragione giustificatrice del recesso medesimo.

Ebbene, è principio pacifico in giurisprudenza ritenere che al lavoro domestico non si applichi detta regola di giustificazione necessaria del licenziamento contenuta nel citato art. 3 della L. n. 604/1966.

Ed invero, benché in quest’ultima legge non vi sia una specifica esclusione del lavoro domestico, prevista solo dalla legge n. 108/1990, generalmente non si è mai dubitato dell’inapplicabilità al lavoro domestico del regime legale di stabilità del rapporto quale conseguenza della specialità del rapporto e della relativa disciplina del recesso prevista dal codice civile. Deriva da quanto innanzi, pertanto, proprio per le anzidette ragioni, che la speciale disciplina del divieto di licenziamento introdotta nel nostro sistema a causa dell’emergenza Covid 19, contenuta nel citato art. 46 D.L. n. 18/2020 e successive modificazioni, non dovrebbe applicarsi al lavoro domestico.