Il potere di accertamento dello svolgimento della professione da parte della Cassa Forense *
2/2022 MAGGIO-AGOSTO
* Il presente contributo è stato sottoposto, in forma anonima, a revisione scientifica.
La riforma delle regole che disciplinano l’iscrizione all’Albo degli Avvocati contenuta nella legge n. 247 del 31.12.2012 e la previsione della iscrizione contestuale ed automatica alla Cassa di Previdenza Forense, ha portato alcuni interpreti a ritenere che l’Ente previdenziale abbia perso il suo potere di controllo in merito all’iscrizione degli indicati professionisti alla Cassa medesima.
Ad un attento e sistematico esame delle norme, tuttavia, l’indicata “interpretazione” sembra affrettata e priva di quelle valutazioni complessive evidenziate dalla giurisprudenza (anche costituzionale) in relazione ad altre Casse professionali, ma i cui principi sono, per certi aspetti, perfettamente sovrapponibili.
Non si può ignorare, del resto, che l’attività professionale giuridicamente rilevante per l’accesso alla previdenza (e per il successivo conseguimento delle prestazioni), è solo quella svolta legittimamente nell’osservanza delle norme dell’ordinamento, con esclusione della computazione, ai fini previdenziali, dei periodi durante i quali l’attività sia svolta in una delle condizioni di incompatibilità individuate dalla legge (nel caso di specie, legge professionale).
La normativa della Cassa attribuisce alla stessa un autonomo potere di verifica che la professione non sia stata esercitata dall’iscritto in condizioni di incompatibilità. E non legittima l’iscrizione anche il versamento della contribuzione previdenziale in quanto l’assolvimento dell’obbligo contributivo non determina altro diritto per l’iscritto se non quello di ottenere il rimborso di quanto versato.
Ma andiamo per ordine. Prima di esporre la regolamentazione contenuta nell’art. 21 della citata legge 247 del 2012, è il caso di ricordare che ai sensi degli artt. 2 e 3 della Legge 22 luglio 1975 n. 319, mai abrogati, al comitato dei delegati della Cassa (art. 2) è attribuito il potere di determinare i criteri per accertare quali siano gli iscritti alla Cassa stessa che esercitano la libera professione forense con carattere di “legittimità”. Tali criteri saranno determinati tenendo presente l’entità e, comunque, il carattere prevalente del lavoro professionale ed ogni altro utile elemento.
Nel detto contesto la Giunta esecutiva della Cassa (art. 3), sulla scorta dei criteri fissati dal comitato dei delegati, può provvedere periodicamente alla revisione degli iscritti con riferimento alla continuità dell’esercizio professionale nel quinquennio, rendendo inefficaci agli effetti dell’anzianità di iscrizione i periodi per i quali, entro il medesimo termine, detta continuità non risulti dimostrata.
Sulla base delle indicate disposizioni, la Cassa Forense aveva emanato il relativo regolamento attuativo ed aveva sempre periodicamente valutato per ciascuno iscritto la permanenza dell’esercizio della professione forense con carattere di continuità al fine di verificare se nei vari anni la professione fosse stata svolta in maniera tale da consentire il riconoscimento dei vari periodi sottoposti a controllo come valevoli ai fini del raggiungimento del requisito temporale per l’attribuzione del trattamento di quiescenza e per la determinazione del rateo di pensione spettante.
La regolamentazione appena descritta si ritiene implicitamente abrogata a seguito dell’entrata in vigore del menzionato art. 21 l. 247/2012. La norma indicata, rubricata “Esercizio professionale effettivo, continuativo, abituale e prevalente e revisione degli albi, degli elenchi e dei registri; obbligo di iscrizione alla previdenza forense”, per quel che qui interes- sa, prevede che la permanenza dell’iscrizione all’albo è subordinata all’esercizio della professione in modo effettivo, continuativo, abituale e prevalente.
Le modalità di accertamento dell’esercizio della professione secondo gli indicati criteri devono essere disciplinate con regolamento adottato dal Ministero della Giustizia, con esclusione di ogni riferimento al reddito professionale. Ciascun consiglio dell’ordine deve verificare, ogni tre anni, per ciascun iscritto la permanenza dei requisiti per l’iscrizione all’Albo e provvedere di conseguenza.
La mancanza della effettività, continuatività, abitualità e prevalenza dell’esercizio professionale comporta, se non sussistono giustificati motivi, la cancellazione dall’albo. I commi 8 e 9 della disposizione in argomento si occupano specificamente dell’iscrizione alla Cassa prevedendo: “L’iscrizione agli Albi comporta la contestuale iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense.
La Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, con proprio regolamento, determina, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, i minimi contributivi dovuti nel caso di soggetti iscritti senza il raggiungimento di parametri reddituali, eventuali condizioni temporanee di esenzione o di diminuzione dei contributi per soggetti in particolari condizioni e l’eventuale applicazione del regime contributivo”.
Il quadro normativo descritto risulta completato dagli art. 1 e 2 del regolamento Unico della Previdenza Forense approvato con Delibera del Comitato dei Delegati del 23 novembre 2018, come modificata in data 21 febbraio 2020 – Approvato con Ministeriale del 21 luglio 2020 – G.U. Serie Generale n. 200 dell’11 agosto 2020, con il quale si è aggiornato e modificato il regolamento di attuazione dell’art. 21 commi 8 e 9 legge 247/2012 approvato con delibera del Comitato dei Delegati del 31 gennaio 2014 e successive modificazioni approvato con nota ministeriale del 07 agosto 2014.
Le norme appena indicate stabiliscono che l’iscrizione alla Cassa è obbligatoria per tutti gli Avvocati iscritti agli Albi professionali forensi. Detta iscrizione viene deliberata d’ufficio dalla Giunta Esecutiva della Cassa, con decorrenza dalla data di iscrizione all’Albo, non appena sia pervenuta comunicazione dell’iscrizione in un Albo forense. Agli indicati fini i Consigli dell’Ordine e, per gli iscritti nell’Albo speciale, il Consiglio Nazionale Forense danno notizia alla Cassa delle iscrizioni agli Albi da essi deliberate entro e non oltre 30 giorni dall’adozione dell’atto, esclusivamente in via telematica con le modalità e le procedure previste dalla Cassa. In caso di mancata ricezione della comunicazione di avvenuta iscrizione alla Cassa, successivamente all’iscrizione ad un Albo, l’Avvocato è tenuto comunque a registrarsi nell’apposita sezione del sito della Cassa, in un momento precedente alla presentazione della comunica- zione obbligatoria del c.d. Modello 5 relativa all’anno di iscrizione all’Albo.
I Consigli degli Ordini e, per gli iscritti nell’Albo speciale, il Consiglio Nazionale Forense, danno notizia alla Cassa, con le stesse modalità e termini previsti al primo comma, dei provvedimenti di cancellazione, sospensione e di ogni altro provvedimento inerente la tenuta degli Albi.
Orbene, nel delineato contesto regolamentativo un “filone” interpretativo ritiene che la Cassa Forense non abbia potere circa l’iscrizione degli Avvocati alla Cassa medesima. D’altronde, a tenore del letterale dictum del regolamento attuativo di cui si è riferito, la Cassa si limita a recepire le deliberazioni dei vari Consigli dell’Ordine e/o del Consiglio Nazionale Forense ai quali è riconosciuta in via esclusiva la funzione di valutare l’esistenza dei requisiti per l’iscrizione all’Albo professionale e, di conseguenza, la correlativa iscrizione alla Cassa.
Il descritto approdo interpretativo si ritiene condivisibile solo in parte. In effetti, l’esistenza dell’incontestabile potere e funzione della Cassa Forense di riconoscimento e liquidazione delle prestazioni pensionistiche deve necessariamente portare a riconoscere allo stesso Ente previdenziale la facoltà (rectius l’obbligo) di poter valutare e verificare l’esistenza dei requisiti di iscrizione per ciascun professionista.
Al riguardo mette conto sottolineare che, per come già riferito, gli art. 2 e 3 della Legge 22 luglio 1975 n. 319, mai espressamente abrogati, devono ritenersi tutt’ora in vigore. Né è possibile sostenere che la regolamentazione contenuta nel citato art. 21 legge 247/2012, occupandosi della medesima materia, abbia implicita- mente abrogato il menzionato art. 2 l. 319/75.
A ben veder, infatti, l’art. 21 disciplina il sistema di iscrizione all’Albo ma non si occupa minimamente degli aspetti prettamente previdenziali. La disciplina di cui alla legge 319/75, invece, riguarda specificamente la questione, totalmente differente, relativa alla verifica della c.d. “legittimità” dell’iscrizione all’albo professionale ai fini ovviamente previdenziali.
Peraltro, oltre alle indicate norme, conferma del potere della Cassa di “controllo” ed accertamento dell’esistenza dello svolgimento “legittimo” dell’attività professionale si ha nella legge 319/75. Quest’ultima disposizione pre- vede, infatti, che la concessione delle pensioni di anzianità, invalidità ed indiretta in ogni caso sia subordinata alla dimostrazione che l’iscritto abbia esercitato legittimamente la libera professione forense.
Se ben si riflette, non può essere messo in dubbio che tale potere si appartenga esclusivamente alla Cassa e non certamente ai vari Consigli dell’Ordine o al Consiglio Nazionale Forense. Peraltro, deve rilevarsi che la Giurisprudenza di legittimità 6 , occupandosi degli ambiti di intervento degli albi professionali e delle Casse previdenziali, in relazione, però, a differente Cassa Previdenziale (si trattava della Cassa dei Dottori Commercialisti) ha avuto modo di affermare che, pur non avendo detto Ente previdenziale una norma esplicita come quella prevista per la Cassa Forense (art. 2 L. 319/75), a favore delle Casse previdenziali deve sempre riconoscersi il potere di accertamento dei requisiti posti a base del diritto alla prestazione previdenziale che detti Enti sono tenuti a corrispondere.
Detto ambito di intervento è diverso da quello riservato ai Consigli degli Ordini professionali in quanto il potere di verifica attribuito alla Cassa attiene all’accertamento dei requisiti per il riconoscimento delle prestazioni previdenziali e “non può estendersi fino al controllo della legittimità dell’esercizio medesimo perché comporterebbe proprio la verifica del diritto all’iscrizione all’albo”.
Detto potere deve essere effettivo e non limitato al mero controllo formale delle risultanze dell’Albo professionale, altrimenti si eliminerebbe la funzione della Cassa Forense. Si arriverebbe alla conclusione che la funzione degli Organi della Cassa sarebbe solo quella di un “ragioniere contabile” deputato al mero accertamento di fatti da altri determinati.
Peraltro, si è ritenuto che la possibilità che la medesima situazione (accertamento dell’incompatibilità all’esercizio della professione) possa essere effettuata da due Organi diversi con la conseguenziale eventualità di esiti tra loro contraddittori, costituisce una “evenienza che è nel sistema”.
Ma una ulteriore considerazione appare veramente dirimente.
La mancanza di un potere di verifica potrebbe addirittura comportare l’attribuzione di una prestazione previdenziale anche in mancanza dei requisiti. In effetti, “allorché non sia più possibile un intervento del Consiglio dell’Ordine e, in ispecie, nel momento della verifica dei presupposti per l’erogazione del trattamento previdenziale, cui si associa naturalmente la cessazione dell’iscrizione all’albo, manca la possibilità giuridica per il Consiglio dell’Ordine di attivare gli strumenti di verifica della sussistenza di una situazione di incompatibilità.
In tale situazione non può disconoscersi un ambito di valutazione alla Cassa di previdenza, pur se rilevante ai soli fini previdenziali non suscettibile di influire sulle connotazioni di status pregresse”. E se tale potere di verifica può essere esercitato dopo la cancellazione dall’Albo del Professionista, è perché il potere medesimo esiste.
Né può minimamente concepirsi che il potere di accertamento della Cassa Forense viene ad esistenza solo per i professionisti che siano già stati cancellati dall’Albo cui erano precedentemente iscritti. Un principio siffatto, a parte la lapalissiana sua illogicità, non troverebbe fondamento in alcuna norma.
Peraltro la soluzione interpretativa proposta risponde anche ad una interpretazione costituzionalmente orientata. A tale proposito si è rilevato che, per come affermato dalla Corte Costituzionale, l’art. 38, comma 2 della Carta Fondamentale non può estendere la propria funzione di garanzia anche nei confronti di attività svolte in violazione di legge e, specificamente, delle norme poste a tutela dell’interesse generale alla continuità ed all’obiettività di una professione.
Occorre ancora ricordare che detto precetto costituzionale, oltre a consentire che il diritto alle prestazioni possa venire subordinato a determinate condizioni e requisiti, non può neppure essere interpretato fino ad estendere la funzione di garanzia nei confronti di attività svolte in violazione di precise norme intese a tutelare, per contro, l’interesse generale alla continuità e alla obiettività di una professione.
Deve ancora darsi conto di due recenti decisioni della Suprema Corte, emesse in particolari ma emblematiche fattispecie, che, tuttavia, evidenziano in maniera chiara la necessità dell’esercizio del potere di verifica da parte della Cassa Forense in caso di mancato esercizio del potere di controllo della permanenza dei requisiti di iscrizione all’Albo da parte del Consiglio dell’Ordine di appartenenza del Professionista. In un primo caso La Suprema Corte si è occupata di verificare se, anche in ipotesi di autorizzazione rilasciata dal Consiglio dell’Ordine, sussiste incompatibilità tra l’esercizio della Professione Forense e lo svolgimento di una attività di lavoro di pubblico dipendente.
La Corte di Cassazione, dopo aver ripercorso tutta l’evoluzione normativa sull’argomento ha affermato che detta incompatibilità deriva direttamente dalla legge ed essa permane an- che in ipotesi di autorizzazione da parte del Consiglio dell’Ordine a svolgere la doppia attività.
In un’altra fattispecie che riguardava un praticante avvocato che aveva continuato a svolgere attività professionale dopo la scadenza del periodo massimo di sei anni di praticantato, la Corte di Cassazione ha ritenuto che costituisce esercizio abusivo della professione, con risvolti penali ex art. 348 cod. pen., la condotta del praticante avvocato che, pur essendo scaduto il termine di sei anni previsto per la durata dell’abilitazione provvisoria al patrocinio, prosegua nella difesa di una parte compiendo attività istruttoria e rassegnando le conclusioni.
Anche in siffatta ipotesi si è condivisibilmente sostenuto che il decorso del periodo massimo di praticantato comporta automaticamente il venir meno del diritto del praticante di mantenere l’iscrizione alla Cassa. Quest’ultimo Ente, all’evidenza, dovrà provvedere alla sua cancellazione a prescindere dall’avvenuta cancella- zione o meno da parte del Consiglio dell’Ordine.
Appare evidente che un’interpretazione che esclude il potere di intervento dell’Ente in siffatte ipotesi potrebbe comportare una illegittima iscrizione previdenziale ed una altrettanto illegittima attribuzione, quantomeno parziale, di prestazioni previdenziali.
In conclusione, deve rilevarsi che il potere di accertamento dello svolgimento della professione da parte della Cassa Forense rimane invariato anche dopo l’entrata in vigore della legge 247 del 2012.
La valutazione della esistenza di eventuali incompatibilità con l’esercizio della professione da parte della medesima Cassa di Previdenza Forense, peraltro, è indirizzata solo ed esclusivamente all’accertamento dell’esistenza dei requisiti per il riconoscimento del diritto ad una prestazione previdenziale e non può avere effetti in ordine alla legittima (o meno) iscrizione all’Ordine Professionale. Per completezza espositiva si ritiene utile ricordare che il descritto potere della Cassa Forense di accertamento della continuità professionale deve essere esercitato entro il limite temporale del quinquennio precedente al momento in cui il potere medesimo viene esercitato per come prevede il citato art. 3 l. 319/75 16 .
Tale termine è stato ritenuto perentorio ed il suo spirare consolida la posizione del professionista in ordine alla contribuzione ed all’iscrizione dei vari anni di attività professionale rilevante.