Il trattamento minimo della pensione forense

3/2019 SETTEMBRE - DICEMBRE

di Daniela Carbone

1. La funzione del trattamento minimo ed “evoluzione” legislativa

L’integrazione al minimo della pensione ha la funzione di integrare la pensione quando dal calcolo in base ai contributi accreditati all’assicurato risulti un importo inferiore a un minimo ritenuto necessario ad assicurargli mezzi adeguati alle esigenze di vita, giusto il precetto dell’art. 38, comma 2, Cost. (Corte cost. 10 giugno 1994, n. 240, in Foro it., 1994, I, 2016 )

La funzione dell’istituto del “trattamento minimo pensionistico” è da individuare, quindi, nell’esigenza di garantire in concreto la soddisfazione dei bisogni primari dei pensionati. L’integrazione al trattamento minimo consiste nell’integrare il trattamento pensionistico calcolato, fino ad un importo cosiddetto “minimo” per i trattamenti pensionistici che non raggiungono tale importo.

Il trattamento minimo si ottiene, quindi, integrando l’importo della pensione calcolata sulla base dell’anzianità contributiva e retributiva pensionabile e fino ad un livello che il legislatore, a norma dell’art. 38, comma 2, Cost., ritiene idoneo a garantire “mezzi adeguati alle esigenze di vita”. L’istituto del trattamento minimo pensionistico nella previdenza forense ha subito nel tempo modifiche sia per quanto riguarda i criteri di determinazione del minimo, sia in ordine alle condizioni soggettive per ottenere l’integrazione della pensione al trattamento minimo. Infatti, nella previdenza forense, il “trattamento minimo pensionistico” era disciplinato dall’art. 2, comma 4, l. 20 settembre 1980, n. 576, il quale statuisce che la misura della pensione non può essere inferiore a sei volte il contributo soggettivo minimo a carico dell’iscritto nel secondo anno anteriore a quello di maturazione del diritto a pensione. Un’ulteriore modifica alla disciplina per l’integrazione al trattamento minimo della pensione, è stata introdotta nel 2008, disciplina che prevedeva che la misura della pensione annua non può essere inferiore ad € 9.960 ed è annualmente rivalutata in proporzione alla variazione media dell’indice annuo dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati calcolato dall’Istat, con esclusione di ogni collegamento automatico alla misura del contributo soggettivo minimo. A decorrere dal 1° gennaio 2010, è stata introdotta la nuova disciplina di accesso al trattamento minimo della pensione, e di cui al paragrafo successivo.

2. La “nuova disciplina” del trattamento minimo.

L’istituto della pensione minima nella previdenza forense, con riferimento alle pensioni di vecchiaia e anzianità (con esclusione delle pensioni di invalidità ed inabilità) viene sostituito da un più articolato meccanismo di “integrazione al minimo”. La nuova disciplina prevede che l’integrazione al trattamento minimo competa solo nell’ipotesi in cui il reddito complessivo dell’iscritto e del coniuge, non sia superiore al triplo della pensione minima dell’anno.

Tale limitazione non si applica alla quota modulare di pensione, in quanto calcolata con il sistema contributivo, fermo restando un possibile assorbimento della stessa in caso di integrazione al minimo della quota. L’importo della pensione minima fissato in € 10.160,00 (riferito al 2008) è rivalutato annualmente in proporzione alla variazione dell’indice annuo dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati. È previsto espressamente l’esclusione di ogni collegamento automatico dell’importo minimo con il contributo soggettivo minimo. L’integrazione al trattamento minimo compete solo nell’ipotesi in cui il reddito complessivo dell’iscritto e del coniuge, non legalmente ed effettivamente separato, comprensivo dei redditi da pensione nonché di quelli soggetti a tassazione separata o a ritenuta alla fonte, non sia superiore al triplo del trattamento minimo dell’anno. L’integrazione al trattamento minimo compete solo sino al raggiungimento del reddito complessivo massimo pari a tre volte il trattamento minimo (che per il 2010 è stato di € 10.664,00). Poiché il trattamento minimo pensionistico è previsto a garanzia della soddisfazione delle più elementari esigenze di vita, il pensionato non può avere diritto all’integrazione al trattamento minimo tutte le volte che i suoi bisogni vitali sono altrimenti soddisfatti con il complesso dei redditi goduti: l’integrazione al minimo in tanto spetta in quanto non sussistano altri redditi o sussistano in misura ridotta. La riferita disciplina sull’integrazione al trattamento minimo è limitata alla pensione di vecchiaia e di anzianità. Per le pensioni di invalidità e di inabilità, ed ai superstiti, infatti, la normativa regolamentare della Cassa Forense prevede che qualora la pensione annua sia inferiore all’importo minimo, è corrisposta un’integrazione sino al raggiungimento del suddetto importo. Ne consegue che per il trattamento minimo delle pensioni di invalidità e di inabilità (e superstiti) si prescinde dal reddito dell’iscritto e del coniuge.

3. La domanda amministrativa

Il diritto al trattamento minimo della pensione è subordinato a specifica domanda del soggetto interessato, che ha, tra l’altro, l’obbligo di attestare nelle forme prescritte la propria situazione reddituale. Infatti all’atto della presentazione della domanda di integrazione al trattamento minimo il richiedente dovrà sottoscrivere autocertificazione relativa ai requisiti reddituali, impegnandosi a comunicare le variazioni che comportino la perdita del diritto all’integrazione. In ogni caso ogni tre anni il pensionato dovrà ripetere la domanda di integrazione sempre con sottoscrizione di autocertificazione per la permanenza dei requisiti reddituali. L’integrazione, ove concessa, ha quindi validità non oltre il 31 dicembre del triennio solare di riferimento, salvo riproposizione della domanda da parte dell’avente diritto.

L’integrazione al trattamento minimo, se ed in quanto spettante, decorre dall’anno in cui sussistono i requisiti, indipendentemente dalla data di presentazione della specifica domanda, con conseguente diritto ad eventuali arretrati, nei limiti, però della prescrizione (del. Cons. Amm. Cassa forense del 18 marzo 2010). Si è, infatti, affermato (Cass. 14 marzo 2013 n. 6509) che la domanda amministrativa ha – nel caso dell’integrazione al trattamento minimo – la mera funzione di atto di avvio della procedura di liquidazione che l’ente debitore è tenuto ad espletare e che sfocia in un atto avente natura non costitutiva ma dichiarativa del diritto, i cui effetti retroagiscono al momento in cui sono venute ad esistenza le condizioni previste dalla legge per il suo sorgere.

4. Indebita percezione della pensione integrata al minimo e sanzioni pecuniarie

Qualora risulti che il pensionato abbia ricevuto l’integrazione della pensione al trattamento minimo a seguito di dichiarazioni non rispondenti al vero, il pensionato è tenuto, oltreché alla restituzione delle somme indebitamente percepite, maggiorate degli interessi, al pagamento di una sanzione pari al 30% delle somme lorde indebitamente percepite, ferme restando le eventuali sanzioni previste dalle leggi penali.

5. I nuovi limiti di reddito

L’integrazione della pensione al trattamento minimo non spetta ai soggetti che posseggono:

a) nel caso di persona non coniugata, ovvero coniugata ma legalmente ed effettivamente separata, un reddito complessivo, comprensivo dei redditi da pensione nonché di quelli soggetti a tassazione separata o a ritenuta alla fonte, superiore al triplo del trattamento minimo dell’anno di riferimento;

b) nel caso di persona coniugata, non legalmente ed effettivamente separata, un reddito complessivo, comprensivo dei redditi da pensione nonché di quelli soggetti a tassazione separata o a ritenuta alla fonte, superiore al triplo del trattamento minimo del’anno. Nessuna “limitazione” deriva dai redditi del nucleo familiare in cui è “inserito” il pensionato.

L’integrazione al trattamento minimo della pensione non spetta, quindi:

- ai soggetti che abbiano redditi individuali superiori ad un determinato limite;

- ai soggetti che abbiano redditi, cumulati con quelli del coniuge, superiori ad un determinato limite.

Se il reddito è inferiore agli importi fissati, l’integrazione al minimo spetta in misura tale che non comporti il superamento del limite stesso. La nuova disciplina per l’integrazione al trattamento minimo di pensione, non si applica per le pensioni in essere al 31 dicembre 2009, per le quali rimane in vigore la previgente disciplina. Da quanto innanzi riportato, consegue che le pensioni in essere al 31 dicembre 2009 (e cioè tutte le pensioni in essere al 31 dicembre 2009, anche se liquidate o riconosciute – anche giudizialmente – successivamente al dicembre 2009) continueranno ad essere integrate al trattamento minimo anche in presenza di redditi propri e/o cumulati con quelli del coniuge superiori al tetto fissato dal legislatore.

6. Individuazione dei redditi da computare

Per l’accertamento della situazione reddituale ai fini della determinazione del diritto all'integrazione al minimo pensionistico (i redditi vanno considerati al netto degli oneri deducibili), la norma regolamentare prevede che il reddito (complessivo) che preclude l’integrazione al trattamento minimo di pensione, è costituito da:

- redditi da pensione (con esclusione, però, della pensione forense da integrare al minimo: Cons. Amm. Cassa forense 18 marzo 2010);

- redditi soggetti a tassazione separata;

- redditi soggetti a ritenuta alla fonte. Ai fini del computo del reddito massimo (preclusivo del diritto all’integrazione al trattamento minimo) sono esclusi:

- il reddito della casa di abitazione del titolare della pensione, anche se imputabile al coniuge;

- il trattamento di fine rapporto e le erogazioni ad esso equiparate.

Per l’accertamento della situazione reddituale ai fini della determinazione del diritto o meno all'integrazione al minimo pensionistico, i soli redditi che non devono essere indicati sono quelli esenti da Irpef perché esclusi da ogni imposta sul reddito (ad., es., le pensioni di guerra, le pensioni degli invalidi civili, le rendite erogate dall’Inail), e quelli espressamente esclusi dalla stessa norma e cioè i trattamenti di fine rapporto comunque denominati (buonuscita, indennità di anzianità, premio di fine servizio, ecc.) comprese le anticipazioni su tali trattamenti, il reddito della casa di abitazione. Per la determinazione del reddito massimo preclusivo della integrazione della pensione al minimo si considera la media dei redditi effettivamente percepiti nei tre anni precedenti quello per il quale si chiede l’integrazione al trattamento minimo della pensione (la media è costituita con i redditi al netto degli oneri deducibili).

In ordine alla collocazione temporale dei redditi da prendere in considerazione al fine di stabilire il limite di reddito in questione, stante quanto innanzi illustrato, non deve essere determinato anno per anno (e cioè non si deve fare riferimento ai redditi relativi allo stesso anno in cui l’integrazione va corrisposta), ma occorre fare riferimento alla media dei redditi effettivamente percepiti nei tre anni precedenti quello per il quale si chiede l’integrazione al trattamento minimo della pensione. In ordine ai redditi da computare, essi sono quelli assoggettabili all’Irpef, alla cui normativa occorre fare riferimento. In caso di coesistenza di un reddito positivo (es., lavoro dipendente) e di un reddito negativo (es., in relazione a perdita di esercizio connessa ad attività di lavoro autonomo) in capo allo stesso soggetto, il reddito da prendere in considerazione ai fini dell’accertamento del diritto al trattamento minimo, è costituito dalla somma algebrica dei due redditi (ne consegue che qualora il reddito negativo sia superiore al reddito positivo, il reddito complessivo risultante dalla somma algebrica deve essere considerata uguale a zero). Qualora occorra prendere in considerazione anche i redditi del coniuge del pensionato, l’eventuale eccedenza del reddito negativo rispetto a quello positivo di uno dei coniugi, non può essere portato in detrazione dall’eventuale reddito positivo posseduto dall’altro.

7. La misura dell’integrazione

In presenza di una situazione reddituale negativa o di importo superiore al limite fissato dalla legge, per l’integrazione non si pongono particolari problemi in quanto o si riconosce o si esclude il diritto all’integrazione al trattamento minimo. Nel caso invece di situazione reddituale inferiore al limite di legge per il diritto all’integrazione al minimo della pensione, occorre determinare la misura dell’integrazione, totale o parziale, cui l’interessato ha diritto; qualora la pensione annua sia inferiore all’importo minimo annuale “è corrisposta una integrazione sino al raggiungimento del suddetto importo”, l’integrazione è riconosciuta in misura tale che non comporti il superamento del suddetto importo.

Occorre evidenziare che la normativa regolamentare, statuisce che la quota modulare e gli eventuali supplementi di pensione assorbono, sino a concorrenza, l’integrazione al trattamento minimo della pensione. Ciò significa che la quota di pensione modulare ed i supplementi di pensione concorrono a formare la pensione minima; ne consegue che qualora la somma della pensione e dei supplementi di pensione supera la somma annua dell’importo minimo, non spetta alcuna integrazione, così nel caso sia di importo inferiore al trattamento minimo di pensione, l’integrazione è solo per la differenza.