La nuova”sistemazione” della previdenza forense
1/2018 GENNAIO - APRILE
1. Gli interventi legislativi e regolamentari per garantire gli equilibri di gestione.
In un momento in cui particolarmente acceso è il dibattito sui problemi del sistema previdenziale dell’assicurazione generale obbligatoria, anche i problemi più specifici della previdenza forense, richiedono un riflessione, alla luce della linea di politica legislativa (e regolamentare) intervenuta, sempre tesa alla necessità di garantire, per le future generazioni, sia gli equilibri finanziari (e gestionali) dell’ente, che le prestazioni. Infatti la collocazione “costituzionale” (art.38 Cost) della previdenza forense impone che la previdenza forense garantisca anche per il futuro l’obiettivo dell’equità sia nei rapporti intergenerazionali che in quelli intragenerazionali. A seguito del d.lgs. n.509/94, che ha reso di natura essenzialmente privatistica la posizione assicurativa dell’avvocato, vi è stata una particolare attenzione del legislatore sulla Cassa Forense, al fine di garantire per le future generazioni, sia gli equilibri finanziari e gestionali, che l’erogazione delle prestazioni. Le norme che hanno interessato la “sistemazione” della previdenza forense sono numerose: d.lgs. 30.6.1994 n.509, che ha consentito la privatizzazione della cassa; l. 5.3.1990 n.45, relativa alla ricongiunzione delle posizioni assicurative per i professionisti; l. 8.8.1995 n. 335, di riforma del sistema previdenziale in generale; art.1, comma 763, l. n. 296/2006, norma che ha imposto agli enti previdenziali categoriali di assicurare la stabilità finanziaria per un periodo di almeno trenta anni; art. 24, comma 24, d.l. n. 201/2011, conv. in l. n. 214/2011, norma che ha imposto una sostenibilità finanziaria a 50 anni; art. 1, comma 438, l. n. 147/2013, che ha “interpretato” l’art. 1, comma 763, l. n. 296/2006, e la sentenza della Cassazione a sezioni unite 8 settembre 2015 n. 17742, che ha compiutamente definito i termini applicativi del pro rata temporis con riferimento alla evoluzione della sua espressione normativa, affermando che “per i trattamenti pensionistici maturati a partire dal 1 gennaio 2007 trova applicazione la l n.335 del 1995, art. 3, comma 12, nella formulazione introdotta dal citato art. 1, comma 763, l. n. 296 del 2006, che prevede che gli enti previdenziali suddetti emettano delibere che mirano alla salvaguardia dell’equilibrio finanziario di lungo termine, “avendo presente” –e non più rispettando in modo assoluto – il principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenendo conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni, con espressa salvezza degli atti e delle deliberazioni in materia previdenziale già adottati dagli enti medesimi ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della l. n. 296 del 2006”. Con la riferita normativa e dopo la citata sentenza della cassazione, certamente la Cassa Forense ha strumenti più efficaci e maggiore libertà per salvaguardare l’equilibrio finanziario. Per evitare squilibri gestionali della Cassa Forense, le normative che si sono succedute nel tempo hanno progressivamente ampliato le proiezioni di stabilità: si è passati dai tre anni previsti dall’art. 3 del d.lgs. n.509 del 1994, ai 15 anni previsti dall’art.3, comma 12, della l. n. 335 del 1995, ai 30 anni dell’art.1, comma 763, l. n. 296/2006, per finire ai 50 anni previsti dall’art. 24, comma 24, d.l. n.201/2011, conv. in l. n.214/2011. Ulteriore strumento per garantire gli equilibri di gestione è stato l’ampliamento della base pensionabile, ampliamento che si è gradualmente realizzato per arrivare all’attuale disciplina che prevede la base reddituale di riferimento per il calcolo della pensione a tutta la vita lavorativa (si è così passati dai migliori dieci redditi professionali conseguiti dall’iscritto negli ultimi 15 anni solari antecedenti al diritto a pensione, ai redditi di tutta la vita lavorativa). Sempre per garantire bilanci equilibrati nel lungo periodo, si è fatto ricorso sia all’innalzamento graduale dell’età pensionabile fissata (a partire dal 2021) in 70 anni di età, che ad un aumento graduale degli anni di contribuzione da versare alla cassa, anni fissati in 35 anni (a partire dal 2021). Sempre per le finalità innanzi riferite è stata abrogata la normativa (art. 21, l.n.576/80) che prevedeva un rimborso generalizzato dei contributi non utilizzati, senza alcuna limitazione temporale e di età per ottenere il rimborso, con la possibilità di ottenere, in presenza di determinati requisiti, al compimento dell’età pensionabile (70 anni dal 2021) la corresponsione di un assegno vitalizio calcolato con il sistema contributivo, con esclusione però del minimo.
2. Gli interventi su contributi e prestazioni.
Negli ultimi anni la previdenza forense è stato oggetto di rilevanti modifiche, sia sul versante dei contributi che su quello delle prestazioni. Per i contributi vi è stato l’aumento dell’aliquota del contributo integrativo (dal 2% al 4%), aumento che da provvisorio è divenuto poi definitivo, nonché dell’aliquota del contributo soggettivo, oltre che ad un aumento graduale dei contributi minimi (sia integrativo che soggettivo). Per le prestazioni vi è stato un progressivo innalzamento dei requisiti minimi per l’accesso al pensionamento di vecchiaia da 65 a 70 anni di età e da 30 a 35 anni di anzianità contributiva, nonché l’introduzione di una quota di pensione di vecchiaia aggiuntiva a quella di base (c.d. pensione modulare) determinata secondo il criterio di calcolo di tipo contributivo, e specifico finanziamento, inizialmente parte obbligatoria e parte facoltativa, ma ora solo contribuzione facoltativa, oltre alla riduzione, pro rata, dei coefficienti di rendimento utili per il calcolo della pensione retributiva, da quattro a due. Novità rilevante è stata anche una nuova disciplina per il diritto alla pensione minima, mediante l’istituto dell’integrazione al minimo, collegata al reddito del soggetto interessato.
3. Sostenibilità finanziaria a 50 anni.
Ulteriori interventi sulla previdenza forense sono conseguenti all’art.24, comma 24, del d.l. n.201/2011, convertito nella l. n.214 del 2011, norma che ha imposto alla Cassa Forense (ma anche agli enti previdenziali categoriali) la sostenibilità finanziaria per un arco temporale non inferiore a 50 anni (rispetto ai 30 previsti dall’art.1, comma 763, l. 296/2006). Tale norma ha “costretto” la Cassa Forense ad intervenire con l’approvazione di modifiche ai regolamenti delle prestazioni e dei contributi, modifiche che dovrebbero garantire la sostenibilità del sistema previdenziale forense nell’arco dei prossimi 50 anni. Infatti, per le prestazioni è stato previsto l’estensione della base reddituale di riferimento per il calcolo della pensione a tutta la vita lavorativa, ed introdotto un coefficiente di rendimento unico fissato nella misura dell’1,40%, con adeguamento automatico triennale di tale coefficiente alla speranza di vita della categoria degli iscritti. Per i contributi è previsto un progressivo aumento del contributo soggettivo con un’aliquota sul reddito irpef che passa al 14% dal 2013, al 14,5% dal 2017, al 15% dal 2021, nonché il consolidamento definitivo dell’aliquota del 4% del contributo integrativo, e l’assorbimento della contribuzione modulare obbligatoria dell’1% in quella volontaria. I riferiti interventi garantiranno una totale copertura finanziaria alle nuove pensioni; il ritocco alla contribuzione e le modifiche al sistema di calcolo delle prestazioni hanno riequilibrato il rapporto tra entrate e uscite previdenziali con un sistema che viene definito “retributivo sostenibile”. La realtà è che il sistema di calcolo delle pensioni erogate dalla Cassa Forense è ormai sempre più vicino al sistema contributivo di cui alla l. n. 335 del 1995, “conservando” però livelli di solidarietà del sistema retributivo, con una redistribuzione interna al sistema a vantaggio di chi è stato meno fortunato nella professione, ed a carico di chi ha avuto maggiore fortuna.
4. Gli interventi sull’accesso alla previdenza forense.
In ordine all’accesso alla previdenza forense, l’art.21, comma 8, della legge 31.12.2012 n. 247 ha innovato completamente la materia, “sostituendo” il previgente criterio dell’esercizio professionale continuativo (ancorato a limiti reddituali) con l’iscrizione all’albo professionale. Tale normativa statuisce, infatti, che “L’iscrizione agli albi comporta la contestuale iscrizione alla cassa nazionale di previdenza e assistenza forense”; in pratica, tutti gli iscritti agli albi sono iscritti alla cassa, raggiungendo così l’uguaglianza numerica tra iscritti agli albi ed iscritti alla cassa. E’ stato, così, eliminato il doppio binario del passato che prevedeva, per gli avvocati, la “facoltà” di iscrizione al proprio ente previdenziale, che diveniva “obbligo” soltanto nel caso di raggiungimento di determinati limiti reddituali. La disciplina di cui all’art. 21, comma 8, della l. n. 247/2012 ha, così, risolto per la previdenza forense, la problematica della interazione fra ordinamento professionale e Cassa di previdenza, con la previsione di requisiti uniformi per l’accesso ad entrambi gli ordinamenti (previdenziale e professionale), anche se è diversa la ratio dei due ordinamenti. Occorre, però, evidenziare che la nuova disciplina dettata dalla l. n.247 del 2012, introduce il principio, secondo cui la permanenza dell’iscrizione all’albo (e quindi alla Cassa Forense) è subordinata all’esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente della professione. L’accertamento di tali condizioni è stato disciplinato da apposito regolamento del Ministero di giustizia (Si veda, M.Bacci, I requisiti per rimanere iscritti all’albo degli avvocati, in Previdenza forense, 2016,1,60). Altra novità in materia di accesso alla previdenza forense introdotta dalla l.n.247/2012, è l’iscrizione “esclusiva” alla Cassa Forense. Infatti, l’art. 21, comma 10 della l. n. 247/2012 statuisce espressamente che “Non è ammessa l’iscrizione ad alcuna altra forma di previdenza se non su base volontaria e non alternativa alla cassa nazionale di previdenza e assistenza forense”, risolvendo, così in senso favorevole alla Cassa Forense, la problematica della iscrizione alla gestione separata Inps per gli avvocati che – almeno fino ad oggi – non raggiungendo i requisiti reddituali per l’iscrizione alla Cassa Forense, optavano (o erano obbligatoriamente cooptati) per l’iscrizione alla gestione separata Inps. Ne consegue, quindi, che a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 247/12, gli avvocati iscritti agli albi non dovranno più iscriversi alla gestione separata Inps né pagare a tale gestione alcuna somma: la Cassa Forense è ormai l’unico Ente a gestire la previdenza degli avvocati. Con tale disciplina è stato “rafforzato” per gli avvocati il diritto garantito dall’art. 38 della Costituzione ad avere un trattamento previdenziale rapportato a tutta l’attività lavorativa. Le problematiche poste dall’art. 21, comma 8, della l. n. 247 del 2012 (soprattutto la fase transitoria tra vecchia e nuova disciplina), sono stato oggetto di apposito regolamento della Cassa (Regolamento di attuazione dell’art.1, commi 8 e 9, legge n.247/2012). A seguito della nuova disciplina di cui alla l. n. 247/2012 e del citato regolamento non è più necessaria la domanda di iscrizione alla cassa in quanto sarà quest’ultima, ricevuta notizia da parte dell’ordine territoriale o dal Consiglio nazionale forense dell’avvenuta iscrizione del soggetto in un albo, ad inviare all’interessato la comunicazione di avvenuta iscrizione alla cassa, con decorrenza giuridica dal 1° gennaio, indipendentemente dalla data di effettiva iscrizione all’Albo professionale. Innovazioni in tema di iscrizione alla Cassa Forense sono state introdotte anche per gli avvocati che esercitano la professione all’estero e che sono residenti in Italia ed iscritti anche all’albo professionale (in Italia), nonché per gli avvocati che esercitano anche altra professione, prevedendo per questi ultimi, in quanto iscritti all’albo degli avvocati, l’obbligo di iscrizione alla Cassa Forense anche se iscritto ad altra cassa (la previgente disciplina prevedeva la facoltà di opzione); nel caso in cui abbiano già esercitato regolare opzione per altra cassa professionale in data antecedente all’entrata in vigore della l. n. 247/2012 (e cioè prima del 1 febbraio 2013) i professionisti sono esonerati dalla iscrizione a Cassa Forense. Nella nuova disciplina dell’iscrizione alla cassa prevista dal menzionato regolamento della Cassa del 2014, novità sono state introdotte per gli avvocati che svolgono funzioni di magistrati onorari, prevedendo che gli avvocati iscritti agli albi forensi, che svolgono anche funzioni di giudice di pace, di giudici onorari del Tribunale e di Sostituto Procuratore onorario di udienza, sono obbligati al versamento della contribuzione alla Cassa Forense sugli emolumenti percepiti per la “carica” ricoperta.
5. La nuova disciplina della prescrizione dei contributi previdenziali forensi.
La legge n. 247 del 2012 è intervenuta anche sulla prescrizione della contribuzione dovuta alla Cassa Forense, risolvendo il dibattito dottrinale sulla applicazione o meno della disciplina di cui alla l. n. 335/95 anche alla previdenza forense. Infatti, per la sola previdenza forense – ma non per le previdenze categoriali degli altri liberi professionisti - è intervenuto l’art. 66 della l. 31.12.2012 n.247, il quale statuisce invece che “la disciplina in materia di prescrizione dei contributi previdenziali di cui all’art.3 della legge 3 agosto 1995 n.335 non si applica alle contribuzioni dovute alla cassa nazionale di previdenza e assistenza forense”; tale norma ha in pratica ripristinato l’art.19 della l. n. 576 del 1980, che fissa in dieci anni la durata della prescrizione, “annullando” l’orientamento giurisprudenziale consolidato, che aveva affermato l’applicabilità della prescrizione dettata dall’art. 3 della l. n. 335/95 alla Cassa Forense.