La ricongiunzione dei contributi dall’Inps alle casse previdenziali professionali

3/2019 SETTEMBRE - DICEMBRE

di Ilaria Bresciani

La Corte di Cassazione, con la sentenza del 15 ottobre 2019, n. 26039, si è pronunciata sulla questione della ricongiunzione dei contributi presso le Casse dei liberi professionisti.

1. La questione sottoposta al vaglio della Corte di Cassazione

Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione ha escluso la legittimità di limiti alla ricongiunzione dei contributi versati all’INPS presso la Cassa a cui è iscritto il libero professionista. La controversia era insorta tra l’INPS e un libero professionista iscritto alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Dottori Commercialisti che chiedeva di poter ricongiungere, presso la predetta Cassa, i contributi in precedenza versati alla Gestione separata dell’INPS.

I giudizi di primo e secondo grado, poi confermati dalla Corte di Cassazione, si erano conclusi con l’accoglimento della domanda proposta dal libero professionista, sulla base di un’interpretazione letterale della norma contenuta nell’art. 1, comma 2, legge n. 45 del 1990, che riconosce, in modo espresso, il diritto di ricongiungere i contributi versati alla assicurazione generale obbligatoria nella Cassa a cui l’interessato risulta iscritto in qualità di libero professionista, senza alcuna limitazione e indipendentemente della omogeneità o meno delle contribuzioni versate nelle rispettive gestioni. Invece, la pretesa dell’INPS, da cui è scaturito il giudizio avanti alla Corte di Cassazione, si era fondata su di una diversa interpretazione della norma di legge secondo cui la ricongiunzione non sarebbe riconosciuta laddove il trattamento pensionistico dell’interessato debba essere calcolato utilizzando il solo metodo contributivo, posto che in tal caso il professionista potrebbe avvalersi solo degli istituti del cumulo e della totalizzazione.

2. Il contesto normativo e giurisprudenziale

L’art. 1, comma 2, l. n. 45 del 1990, recante “norme per la ricongiunzione dei periodi assicurativi ai fini previdenziali per i libero professionisti”, stabilisce la facoltà, per il soggetto che non abbia ancora maturato il diritto a ricevere una pensione e che ha abbia versato contributi a forme obbligatorie di previdenza, di ricongiungere tali periodi di contribuzione presso la Cassa professionale a cui risulta iscritto in qualità di libero professionista, secondo le modalità descritte all’art. 2 del medesimo testo normativo, il quale dispone l’onerosità di tale operazione. La legge ha disciplinato la “portabilità multidirezionale” della contribuzione, distinguendo solo il caso in cui la ricongiunzione sia domandata prima della maturazione dei requisiti pensionistici e a favore della Cassa professionale, da quella in cui la richiesta interviene in un momento successivo al pensionamento, stabilendo, in questa seconda ipotesi, la necessità di un accredito di almeno dieci anni di contribuzione continuativa presso l’assicurazione obbligatoria.

La ratio che ha sostenuto l’intervento normativo era quella di allineare la posizione dei liberi professionisti a quella degli altri lavoratori dipendenti, privati e pubblici, e autonomi, consentendo anche ai primi di disporre di un apposito strumento volto a realizzare la “portabilità” da un regime all’altro della posizione assicurativa maturata dal soggetto nel corso della sua vita lavorativa ove caratterizzata da una certa mobilità professionale. Di fatti, l’istituto della ricongiunzione era già stato previsto dal legislatore a favore dei lavoratori dipendenti e autonomi con la l. n. 29 del 1979, ed estesa, in seguito, anche ai liberi professionisti, solo con la l. n. 45 del 1990.

Tuttavia, così come già previsto per i lavoratori autonomi, anche per i liberi professionisti (ma in modo più gravoso), la ricongiunzione dei periodi assicurativi è stata consentita a titolo oneroso, ovvero dietro versamento da parte dell’interessato di un’apposita contribuzione. In particolare, ai sensi dell’art. 2, l. n. 45 del 1990, l’ente cedente deve trasferire nella gestione di confluenza il mero equivalente monetario dei contributi versati maggiorato di un modesto interesse composto al tasso annuo del 4,50%, mentre all’interessato è imposto un esborso a favore dell’ente cessionario dell’importo dell’intera riserva matematica necessaria per la copertura assicurativa del periodo considerato, al netto del trasferimento operato dall’ente cedente.

Proprio la caratteristica dell’onerosità, che in certi casi può essere talmente elevata da rendere nella pratica impossibile l’esercizio del diritto da parte dell’interessato, ha portato la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 61 del 1999, ad affermare la illegittimità degli art. 1 e 2, 217 l. n. 45 del 1990, nella parte in cui non prevedevano, in favore dell’assicurato che non avesse maturato il diritto a un trattamento pensionistico in alcuna gestione, in alternativa alla ricongiunzione, il diritto di avvalersi dei periodi contributivi pregressi, con espresso riferimento (in motivazione) all’istituto della totalizzazione. Quest’ultimo era stato previsto, in via generale (art. 1, comma 1, d.lgs. n. 184 del 1997, attuativo della delega contenuta nell’art. 1, comma 39, l. n. 335 del 1995) in favore dei soggetti a cui si applicava integralmente il sistema di calcolo della pensione contributivo (ma con esclusione dall’area di applicazione dei liberi professionisti), e con una contribuzione versata non idonea a consentire l’accesso a un trattamento pensionistico in alcuna gestione previdenziale.

Tale meccanismo non comportava un trasferimento effettivo di contribuzione da un ente previdenziale all’altro e, pertanto, era possibile avvalersene a titolo gratuito; in pratica, ciascun ente previdenziale, in base al criterio del pro-rata, versava al soggetto una quota della prestazione proporzionata alla contribuzione accreditata e calcolata secondo le norme in vigore per ciascun ente. In buona sostanza, la decisione della Corte Costituzionale, richiamata dal giudice di legittimità nella sentenza in commento, era volta a censurare un assetto normativo incompleto, e quindi inadeguato a tutelare le molteplici situazioni in cui si poteva venire a trovare il libero professionista, in quanto il legislatore si era limitato a prevedere un’unica forma di riunificazione delle varie contribuzioni versate dal soggetto presso più gestioni previdenziali, peraltro potenzialmente non utilizzabile qualora risultasse eccessivamente onerosa. In tale malaugurata ipotesi, il libero professionista non avrebbe potuto utilizzare parte dei contributi versati nel corso della propria vita lavorativa, e addirittura, qualora in nessuna delle gestioni fosse stato raggiunto il minimo contributivo, non avrebbe potuto ottenere alcun trattamento pensionistico. Cosicché postulare la possibilità di ricorrere all’istituto della totalizzazione, in alternativa alla ricongiunzione, ove quest’ultima non fosse praticabile per le ragioni suddette, avrebbe consentito di riequilibrare il sistema normativo e di realizzare quell’adeguatezza della tutela previdenziale imposta dall’art. 38, comma 2, Cost.

Il monito della Corte Costituzionale è stato accolto dal legislatore (in parte), dapprima con l’art. 71, l. n. 388 del 2000 e con il relativo decreto interministeriale di attuazione n. 57 del 2003, che tuttavia limitavano la totalizzazione al conseguimento della sola pensione di vecchiaia e la precludevano in caso di maturazione di un autonomo diritto a pensione, e in seguito con la legge delega n. 243 del 2004 e il relativo decreto legislativo di attuazione n. 42 del 2006 (nonché con la legge n. 247 del 2007, il d.l. n. 201 del 2011, conv. In l. n. 214 del 2011, e il d.p.r. n. 157 del 2013), che ha consentito di ricorrere alla totalizzazione anche per il conseguimento della pensione di anzianità ed anche in caso di maturazione di un autonomo trattamento pensionistico, mantenendo un divieto di utilizzo solo per il caso di effettivo godimento di una pensione (occorre, tuttavia, ricordare che l’ammontare della prestazione previdenziale erogata a seguito di totalizzazione dei contributi versati è minore rispetto a quanto spetterebbe al soggetto a seguito della ricongiunzione dei periodi assicurativi). Pertanto, non poteva dirsi avverato il monito espresso dalla Corte Costituzionale, secondo cui l’istituto della totalizzazione avrebbe dovuto porsi come rimedio di carattere generale a cui ricorrere sempre in caso di impossibilità di accesso a un trattamento pensionistico dovuta alla “frammentazione” delle posizioni contributive. Infine, il quadro normativo è stato arricchito con l’art. 1, comma 195, l. n. 232 del 2016, che ha riconosciuto la possibilità di ricorrere all’istituto del cumulo anche agli iscritti presso le Casse di previdenza dei liberi professionisti (l’istituto era già stato introdotto in via generale dall’art. 1, comma 239, l. n. 228 del 2012). Pertanto, allo stato attuale, accanto alla ricongiunzione onerosa e alla totalizzazione gratuita ma in cui le quote di trattamento pensionistico sono calcolate secondo il solo sistema contributivo, si è affiancata la possibilità di ricorrere al cumulo gratuito in cui ogni quota di trattamento è calcolata sulla base delle regole che governano la singola gestione previdenziale, con possibilità di ottenere una prestazione più vantaggiosa rispetto all’istituto della totalizzazione.

3. L’orientamento espresso dalla Cassazione

Per ritornare alla sentenza in commento, la Corte di Cassazione, nel ritenere infondate le ragioni addotte dall’INPS, si è limitata a riportare il principio enunciato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 61 del 5 marzo 1999, la quale aveva dichiarato la illegittimità costituzionale degli art. 1 e 2, legge n. 45 del 1990, nella parte in cui non prevedevano, a favore dell’assicurato che non avesse maturato il diritto a un trattamento pensionistico in alcuna delle gestioni alle quali era o era stato iscritto, il diritto di avvalersi dei periodi contributivi pregressi in termini tali per cui la ricongiunzione, più vantaggiosa ma anche più costosa per l’assicurato, potesse porsi come mera opzione rispetto ad altri istituti volti a consentire il conseguimento del medesimo obiettivo.

Per il giudice di legittimità, il suddetto principio depone a favore di un’interpretazione della norma contenuta nell’art. 1, comma 2, l. n. 45 del 1990 che vede l’assenza di limiti all’utilizzo dell’istituto della ricongiunzione, sia se dovuti alla disomogeneità del metodo di calcolo sia se derivanti dalla pretesa necessità di allinearsi a quanto previsto dallo stesso art. 1, comma 1, che ammetterebbe la ricongiunzione solo “in entrata”. E ciò proprio in ragione di un sistema complessivo in cui la “portabilità” delle posizioni contributive si fa principio generale tanto da dover essere sempre garantita attraverso l’utilizzo di tre strumenti “opzionali” che costituiscono ciascuno una alternativa valutabile liberamente dal libero professionista a seconda della propria situazione concreta.

Per queste ragioni, in base alla soluzione offerta dalla Corte, la ricongiunzione dei contributi è una tra le opzioni possibili a cui il libero professionista può accedere senza alcun genere di limite.