Modifiche in pejus del trattamento pensionistico e diritti quesiti
2/2019 MAGGIO - AGOSTO
Nel parlare di modifiche del trattamento pensionistico e di diritti quesiti, occorre preliminarmente evidenziare che il diritto quesito “pensionistico” va valutato con riferimento alla normativa vigente al momento del perfezionamento del diritto alla pensione, non sussistendo un diritto quesito relativo al trattamento di pensione in base alla normativa vigente al momento di iscrizione dell’avvocato alla cassa forense[1].
Si è affermato[2], infatti, che “in materia di quiescenza non può parlarsi di diritto quesito se non quando la pensione non sia stata liquidata, mentre anteriormente al verificarsi del fatto acquisitivo del diritto a pensione il dipendente può vantare solo un’aspettativa ad un determinato trattamento di quiescenza”. Tale aspettativa assume la consistenza di un vero e proprio diritto soggettivo solo nel momento in cui l’interessato maturerà i requisiti necessari per essere collocato a riposo; pertanto il trattamento di quiescenza prende vita a misura dalle norme in vigore in detto momento: prima di tale momento, pertanto, l’interessato non può dolersi di eventuali modifiche normative, incidenti sul predetto trattamento[3].
È da escludersi la possibilità per gli enti previdenziali – anche quelli categoriali (privatizzati) - di modificare in pejus il trattamento pensionistico in atto.
Infatti, una volta maturato il diritto alla pensione, l’ente previdenziale debitore non può, nel caso di previdenza categoriale privatizzata, con atto unilaterale, regolamentare o negoziale, ridurre l’importo, tanto meno adducendo generiche ragioni finanziarie, poiché ciò lederebbe l’affidamento del pensionato, tutelato dall’art. 3, comma 2, Cost., nella consistenza economica del proprio diritto soggettivo[4]. Peraltro, il limite costituzionale imposto al legislatore nella materia induce a maggior ragione a ritenere contrario al principio di ragionevolezza (art. 3, comma 2, Cost.) l’atto infralegislativo, amministrativo o negoziale, con cui l’ente previdenziale debitore riduca unilateralmente l’ammontare della prestazione mentre il rapporto pensionistico si svolge, ossia non si limiti a disporre pro futuro, con riguardo a pensioni non ancora maturate[5]. E ciò in quanto il diritto soggettivo alla pensione può essere limitato, quanto alla proporzione fra contributi versati e ammontare delle prestazioni, dalla legge, la quale può disporre in senso sfavorevole anche quando, maturato il diritto, siano in corso di pagamento i singoli ratei, ossia quando il rapporto di durata sia nella fase di attuazione. È però necessario che la legge sopravvenuta non oltrepassi il limite della ragionevolezza, ossia che non leda l’affidamento dell’assicurato in una consistenza della pensione, proporzionale alla quantità dei contributi versati (e nel caso delle prestazioni erogate dalle casse previdenziali categoriali degli enti privatizzati vige il principio del pro-rata).
L’affidamento del cittadino nella riferita “sicurezza giuridica” non è tutelato, però, in termini assoluti e inderogabili, in quanto esso è sottoposto al normale bilanciamento proprio di tutti i diritti e valori costituzionali.
La giurisprudenza della Corte costituzionale è costante nel ritenere illegittima la norma che violi l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, quale elemento essenziale dello Stato di diritto[6].
Per verificare se, in concreto, una disciplina retroattiva incida in modo costituzionalmente illegittimo sull’affidamento dei destinatari della regolazione originaria, la giurisprudenza costituzionale attribuisce rilievo a una serie di elementi:
- il tempo trascorso dal momento della definizione dell’assetto regolatorio originario a quello in cui tale assetto viene mutato con efficacia retroattiva, ciò che chiama in causa il grado di consolidamento della situazione originariamente riconosciuta e poi travolta dall’intervento retroattivo[7];
- la prevedibilità della modifica retroattiva stessa[8];
- la proporzionalità dell’intervento legislativo che eventualmente lo comprima[9].
Occorre evidenziare che i provvedimenti di garanzia dell’equilibrio del bilancio adottabili da una cassa previdenziale categoriale, in quanto atti unilaterali negoziali (art. 1354 c.c.), sono validi se non contrari a norme imperative (art. 1418 c.c.), e anzitutto alle norme della Costituzione (art. 38), come interpretate e specificate dalla giurisprudenza costituzionale[10], che ha enunciato i seguenti principi nella materia del diritto intertemporale dei rapporti previdenziali di durata, come quello di pensione:
- al legislatore gli artt. 3 e 38 Cost. permettono di ridurre l’ammontare del trattamento per esigenze di contenimento della spesa[11], ma non di eliminare un trattamento già conseguito dall’assicurato, così frustando il suo affidamento nel quadro normativo esistente al momento del pensionamento[12], o addirittura incidendo su trattamenti non ancora attivati[13];
- la riduzione del beneficio deve essere graduale, sempre a tutela dell’affidamento del pensionato sulle risorse economiche conseguite e necessarie alle sue esigenze di vita[14], eventualmente con cristallizzazione al momento attuale e riassorbimento nella perequazione automatica[15].
In ordine alla possibilità di modificare in pejus il trattamento pensionistico in atto o per chi è ormai prossimo alla pensione, occorre evidenziare che la Corte di Cassazione[16], ha affermato che “la riforma del sistema pensionistico (in base alla quale – a partire dalla l. delega n. 421/1992 e dal d.lgs. n.503/1992 – sono cambiati i requisiti per fruire della pensione di vecchiaia) ha fatto salvi i diritti quesiti, nel senso che i lavoratori che al momento dell’entrata in vigore delle leggi di riforma avevano già maturato i requisiti per la pensione secondo la precedente normativa, pur senza aver presentato domanda di pensionamento, conservano il diritto ad avvalersi dei requisiti precedenti più favorevoli.
In materia di pensioni si può parlare di diritto quesito, quindi, non soltanto quando la pensione sia stata già liquidata, ma anche quando si è ormai vicini alla pensione; esiste un vero e proprio diritto soggettivo nel momento in cui l’interessato matura i requisiti per essere collocato in pensione (il trattamento di quiescenza prende “vita e misura” dalle norme in vigore in detto momento).
Del resto sulla possibilità di modificare in pejus il trattamento pensionistico in atto o per chi è ormai prossimo alla pensione, la Corte costituzionale[17], nel dichiarare la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 8, l. n. 297/1982, ha affermato che “non può dirsi consentita una modificazione legislativa che, intervenendo o in una fase avanzata del rapporto di lavoro oppure quando sia già subentrato lo stato di quiescenza, peggiorasse, senza un’inderogabile esigenza, in misura notevole e in maniera definitiva, un trattamento pensionistico in precedenza spettante, con la conseguente irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività lavorativa”[18].
Sempre la Corte costituzionale[19] ha ribadito, quanto ai limiti del legislatore di legiferare con effetto retroattivo in materia pensionistica, che è inibito al legislatore (ed a maggior ragione ad una cassa di previdenza categoriale privatizzata) emanare norme con efficacia retroattiva in contrasto con valori e interessi costituzionalmente protetti, includendo tra questi l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica che, quale essenziale elemento dello Stato di diritto, non può essere leso da disposizioni retroattive, le quali trasmodino in un regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi precedenti; per la Corte non può non reputarsi affetta da irragionevolezza una disciplina la quale è venuta a determinare, in modo retroattivo, l’elisione dei ratei di pensione maturati a decorrere da detta data, nei casi in cui i relativi titolari abbiano intrapreso una attività libero professionale o comunque avente natura di prestazione autonoma.
Le casse previdenziali categoriali dei liberi professionisti nell’esercitare, in materia pensionistica, l’autonomia normativa di cui all’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 509/1994, mediante modifiche del loro regolamento, non possono ignorare, oltre ai limiti di cui all’art. 3, comma 12 l. n. 335/1995 quanto alla tipologia di provvedimenti da adottare (e al principio del pro-rata), anche i sopra evidenziati principi affermati in materia dalla Corte costituzionale. Non si può ignorare, infatti, che nel caso di variazione di aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento nonché formulazione di nuovi criteri di determinazione del trattamento pensionistico, occorre sempre “rispettare” il principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate, attesa la formulazione del disposto del comma 12 dell’art.3 della l.n.335 del 1995.
[1] Corte cost. 26 luglio 1995, n. 390, in Foro it., Rep., 1995, voce Professioni intellettuali, n. 193, in cui si afferma la “insussistenza di un diritto dell’iscritto all’intangibilità pensionistico vigente al momento in cui ebbe inizio l’iscrizione”.
[2] Cons. Stato, sez. V, 28 febbraio 1987, n. 140, in Foro amm., 1987, I, 159.
[3] Sul tema Cass. 1° dicembre 2003, n. 18338, in Foro it., Rep., 2004, voce Previdenza sociale, ha affermato in tema di “diritti quesiti pensionistici” che allorché la legge fa salvi i diritti quesiti, questi devono intendersi “nel senso che i lavoratori che al momento dell’entrata in vigore delle leggi di riforma avevano già maturato i requisiti per la pensione secondo la precedente normativa, pur senza avere presentato domanda di pensionamento, conservano il diritto ad avvalersi dei requisiti precedenti più favorevoli”.
[4] L. Carbone, Norme previdenziali, diritti quesiti e aspettative, in Prev. for., 2006, 343.
[5] Proprio con riferimento alla previdenza dei liberi professionisti, conf., Cass. 7 giugno 2005 n. 11792, in Foro it., Rep.,, 2005, voce Professioni intellettuali, n. 296.
[6] Corte cost. 10 febbraio 1993, n. 39, in Foro it., 1993, I, 1766; Corte cost.,26 gennaio 1994, n. 6, in Foro amm., 1994, 313; Corte cost., 28 febbraio 1997, n. 50, in Foro it., 1997, I, 3501; Corte cost., 23 dicembre 1997, n. 432, in Giust. civ., 1998, I, 316; Corte cost. 22 novembre 2000 n. 525, Foro it., 2000, I, 3397.
[7] Corte cost. 26 aprile 2018 n. 89, Foro it., 2018, I, 2302; Corte cost. 1 dicembre 2017 n. 250, Foro it., Rep.2018, voce Previdenza sociale, n. 240; Corte cost. 2 maggio 2016 n. 108, Foro it., Rep. 2016, voce Impiegato della Stato e pubblico, n. 265; Corte cost. 31 marzo 2015 n.56, Foro it., 2015, I, 1903.
[8] Corte cost. 24 gennaio 2017 n. 16, Foro it., Rep.2017, voce Diritto in genere, n.168; Corte cost. 27 giugno 2013, n. 160, Foro it., Rep.2014, voce Amministrazione dello Stato, n 224.
[9] Corte cost. 9 maggio 2019 n.108.
[10] Cass. 8 agosto 2005, n. 16650, in Foro it., Rep., 2005, voce Professioni intellettuali, n. 297.
[11] Corte cost. 10 giugno 1994, n. 240, in Foro it., 1994, I, 2016.
[12] Corte cost. 2 luglio 1997, n.211, in Foro it., 1997, I, 2355.
[13] Corte cost. 12 novembre 2002, n. 446, in Giur. it., 2003, 841.
[14] Corte cost. 10 giugno 1994, n.240, cit.
[15] Corte cost. 8 giugno 1992, n. 257, in Foro it. 1994, I, 3582; Corte cost. 19 marzo 1992, n. 114, in Giust. civ., 1992, I, 1662.
[16] Cass. 1 dicembre 2003 n. 18338, in Foro it, Rep., 2004, voce Previdenza sociale, n.1007.
[17] Corte cost. 14 luglio 1988, n. 822, in Foro it., 1991, I, 335.
[18] Per l’inesistenza di diritti quesiti per il trattamento di pensione, Terzago, Trattamento di quiescenza. Modificabilità della contrattazione collettiva in pejus e diritti acquisit del lavoratore, in Riv. prev. soc., 1969, 1113; Corte conti 27 aprile 1956, n. 13739, in Foro it., 1956, III, 2, 106.
[19] Corte cost. 4 novembre 1999, n. 416, in Foro it., 2000, I, 2456.