Mutamenti fisiognomici in fieri del diritto previdenziale

3/2019 SETTEMBRE - DICEMBRE

di Maurizio Cinelli

1.- La regolamentazione della previdenza sociale, per una serie di fattori che si possono dare per noti, è in perenne fermento. Scontata è, dunque, per chi si interessa al settore, la ricorrente esigenza di confronto con le problematiche che sorgono a seguito di “ritocchi”, in-novazioni o innesti normativi, più o meno ravvicinati nel tempo e più o meno settoriali, ai quali il legislatore ci ha ormai abituato.

2.- Da qualche tempo, tuttavia, quel processo innovativo di fatto sta inci-dendo – lentamente e progressivamente, anche se non sempre in maniera della quale siano immediatamente percepibili le implicazioni di fondo – sulla stessa fisionomia del diritto previdenziale nel suo complesso. Una evoluzione in fieri – evocativa dell’esigenza di procedere, prima o poi, ad una rivisitazione complessiva della materia –, che non può non ri-levare anche in un’occasione di confronto su tematiche specifiche, come è quella odierna. Il fenomeno è indubbiamente assai complesso. Ciononostante il senso di esso può riassumersi letteralmente in due paro-le.E le due parole sono “derogabilità” e “condizionalità”, sostantivi di va-lore semantico ampio, come è evidente, i quali, peraltro, se calati nella materia previdenziale per fungerne da coordinate di sue parti significative (come sta avvenendo), concorrono ad imprimere allo specifico contesto normativo connotazioni inusuali, con impliciti riflessi di carattere sistematico, in particolare sullo stesso statuto dei diritti sociali.

3.-Secondo l’insegnamento corrente, l’inderogabilità-indisponibilità è una qualità caratterizzante dello statuto dei diritti previdenziali. Si tratta di un connotato di particolare pregnanza non solo di per sé considerato, ma anche in quanto destinato a interferire con obiettivi di omogeneizzazione dei vari regimi previdenziali e dei relativi trattamenti, che il legislatore si è proposto da epoca risalente; e destinato ad interferire an-che, seppur indirettamente, con lo stesso principio di universalità della tu-tela previdenziale. Ebbene, la legislazione in materia, specie la più recente, da qualche tempo ci offre una crescente casistica di situazioni regolate con criteri che non riconoscono più carattere “centrale” a quello “storico” connotato, ma, di fatto, da esso su discosta; e, dunque, implicitamente si discostano anche dagli altri obiettivi e principi suindicati. Rappresentativa al proposito è già la stessa, più recente legislazione, la quale, sotto la spinta di specifici interessi organizzati, in più occasioni si è piegata all’introduzione di discipline derogatorie; in ciò indubbiamente trovando implicito conforto nell’impostazione pluralista che, fin da epoca risalente (così già V. Simi, “Il pluralismo previdenziale secondo Costituzione”, Angeli, Milano, 1986), caratterizza il sistema previdenziale nazionale. Una diversificazione delle regole, tuttavia, che, se risponde, in via di principio, alla meritevole esigenza di adattamento alle distinte caratteristiche delle variegate realtà lavorative e degli interessi sottesi (in un’ottica, appunto, pluralista), può anche rappresentare (e, di fatto, non di rado rappresenta) l’espediente per assecondare interessi egoistici privilegiati; e, dunque, può funzionare, nei fatti, a scapito, anziché a favore del principio di parità. Per chiarezza di quadro, va ricordato che riferibili alla sfera di iniziativa del legislatore – e, dunque, all’accezione più ampia di “derogabilità” – sono anche i vari regimi “in deroga”, dettati per determinati settori da esigenze più generali: tipici quelli relativi alla cassa integrazione guadagni, ai riscatti, e ad altro ancora.

4.- All’accezione più corrente di “derogabilità” vanno ricondotte, invece, quelle manifestazioni di essa, in cui aspetti di rilievo della concreta regolamentazione della materia sono rimessi dalla legge alla libera determinazione degli interessati. Il riferimento è, innanzitutto, all’ampio e ben noto catalogo delle “opzioni”, che, a termini di legge, facoltizzano l’interessato a scegliere, ad esempio – tra più trattamenti previdenziali astrattamente ottenibili –, il trattamento più favorevole; oppure (più spesso), a scegliere la data del pensionamento, sia che ciò avvenga a fini di differimento, sia che ciò av-venga a fini di anticipazione dell’accesso al trattamento pensionistico: emblematica, a quest’ultimo proposito, può ben essere considerata l’attuale disciplina della pensione anticipata, quale, in particolare, arricchita, da ultimo, dalla cosiddetta “pensione a quota 100”. E possono essere ricordati anche i casi (più rari), in cui all’interessato, a determinate condizioni o in presenza di determinati eventi – come, ad esempio, la privatizzazione dell’ente pubblico datore di lavoro –, la legge addirittura consente agli interessati di scegliere, individualmente, lo stesso regime previdenziale. Per dirla in breve, e ripetendo quanto in maniera colorita, ma assai efficace, è stato già detto da altri, la materia previdenziale per molti versi si presenta oggi, da questo punto di vista, come una sorta di supermarket, nel quale ciascuno può trovare spazi per scegliere il “prodotto” per lui più conveniente. Il che evidentemente comporta implicazioni di sistema. Prima, però, di considerare tale delicato aspetto, è opportuno gettare uno sguardo anche sull’altracoordinata: la “condizionalità”.

5.- Anche la “condizionalità” ha implicazioni di carattere sistematico e incide significativamente sullo statuto dei diritti previdenziali; e anch’essa opera, al pari della “derogabilità”, seguendo percorsi e con sfaccettature diversificati. Nella più corrente accezione, che la vede riferita alla sfera privata, la “condizionalità” può essere definita un modo di atteggiarsi della regolamentazione della materia, da essa di volta in volta interessata, attraverso un meccanismo di subordinazione della erogazione delle prestazioni sociali ad un elemento aggiuntivo rispetto ai requisiti amministrativi e biologico, ai quali, nella logica risalente del modello assicurativo, è storicamente subordinato, come sappiamo, il diritto alla prestazione stessa. Tale elemento aggiuntivo condizionante è normalmente rappresentato dall’imposizione a carico dell’interessato di un comportamento positivo specifico: di fatto, e tecnicamente, una soggezione a poteri terzi. Da tale punto di vista, la “condizionalità” ha, dunque, come caratteristica quella di coniugarsi con la selettività propria delle assicurazioni sociali; per più versi incrementandone, dunque, il livello di severità.

6.-Nell’accezione più ampia riferibile ai condizionamenti, per così dire, esterni, imposti direttamente dalla legge in determinati ambiti, la “condizionalità” assume, invece, una configurazione “macroeconomica”, nel momento stesso in cui si concretizza in una predeterminazione del plafond quantitativo delle risorse finanziarie concretamente utilizzabili per l’erogazione di prestazioni economiche date; o, con gli stessi effetti, nella preventiva fissazione del numero massimo di queste ultime. Si tratta di un condizionamento “forte”, che si presta a vari effetti “di sistema”, se non altro per il fatto di interferire con il principio di solidarietà, e comunque,contenendola, con la vocazione universalistica della previdenza. Ma sopratutto e comunque la “condizionalità”, nelle suindicate prestazioni, risulta essere un meccanismo che, di fatto, incide sulla pienezza della tutela dei diritti sociali, dei quali le pregiudiziali limitazioni indicate implicano il sostanziale “affievolimento”.

7.-Analoghi effetti ed implicazioni produce la “condizionalità”, per così dire, “microeconomica”. Questa si manifesta e concretizza attraverso l’imposizione al soggetto che aspira al riconoscimento del diritto a determinata prestazione sociale a sostegno del reddito, di oneri di comportamento che si aggiungono agli stessi requisiti propri del modello assicurativo, accentuandone (come già osservato) gli effetti selettivi. Due sono le aree elettive di intervento di detta manifestazione della “condizionalità”: quella degli strumenti di sostegno al reddito per il caso di disoccupazione o di sospensione dal lavoro con intervento della cassa integrazione, da un lato, e quella delle politiche attive del lavoro, dall’altro lato. Ma il legislatore non disdegna di utilizzare la “condizionalità” anche nei territori dell’assistenza sociale – con ulteriori implicazioni di sistema, a ben considerare, proprio in ragione della natura assistenziale del “bene” sul quale in tal modo esso viene ad incidere –, come la recente regolamentazione tanto del reddito, quanto della pensione di cittadinanza sta a dimostrare. Il fenomeno, in sé, non è del tutto nuovo. Può essere ricordata, ad esempio, la risalente, storica disciplina dei “cantieri di lavoro”, la regolare partecipazione ai quali, nella originaria regolamentazione dell’assicurazione contro la disoccupazione involontaria, era condizione per poter usufruire della relativa indennità. Oggi, però, si tratta di fenomeno che, di fatto, tende ad assumere carattere pervasivo, con gli incisivi effetti già accennati, e, dunque, con ben di-verse fisionomia e implicazioni sistematiche.

8.-In effetti, se ben si analizza il fenomeno, la diffusione e il radicamento del ricorso ai meccanismi della “condizionalità” (specie nel suo aspetto macroeconomico, ma senza escludere l’altro) risultano significativi – per dirla in breve – di scelte che appaiono trarre la loro legittimazione dalla realtà economica, prima ancora che dai valori accolti dalla Carta costituzionale. In sostanza, i paradigmi costituzionali sui quali è stato edificato il modello storicamente dato dello stato sociale, alla luce dell’impostazione di cui sia la “derogabilità”, sia la “condizionalità” devono considerarsi espressione, risultano oggi interessati da un processo di potenziale, profonda (quanto non esplicitamente dichiarata) trasformazione.Un processo, precisamente, all’interno del quale ruolo preminente, rispetto agli storici compiti di inte-grazione sociale, di fatto risulta accordato al corretto funzionamento delle regole del mercato; con quanto ne può conseguire anche in termini di pro-gressivo radicarsi di valori “fondamentali”, innovativi rispetto a quelli “tradizionali”, quali la stabilità macroeconomica o la competitività sui mercati. Si rivela, in sostanza – attraverso detti due particolari connotati –, una tensione delle recenti politiche normative nella direzione del superamento (al momento, non interessa valutare quanto in termini positivi o quanto in termini da giudicare negativamente) del welfare state, così come concepito e strutturato nel ventesimo secolo.

9.- Quale complessiva valenza può riconoscersi – per concludere – alla fisionomia che il sistema sta assumendo per effetto del descritto, strisciante fenomeno? La risposta non può essere univoca. Va dato atto, innanzitutto, che l’ampliamento delle ipotesi di “derogabilità” nelle discipline di tutela, da un lato, e l’assunzione della “condizionalità” (tanto macrogestionale, quanto microgestionale) come dato di sistema, da un altro lato, sono fattori che oggettivamente concorrono ad aprire maggiori spazi alla autodeterminazione dei soggetti (tanto a livello individuale, quanto a livello collettivo) e, correlativamente, a determinare una loro maggiore responsabilizzazione personale. La centralità assunta dai connotati della “condizionalità” e della “derogabilità”, inoltre, permette di valutare meglio un fenomeno di particolare, attuale rilevanza: la sempre più frequente stretta compenetrazione nel sistema tra “pubblico” e “privato”. Una realtà, questa,che trova anch’essa una più intensa, progressiva manifestazione nell’attualità, e comunque significativa del progressivo sfaldamento del pressoché monolitico carattere pubblicistico delle origini; fenomeno che, in verità – come già osservato in una precedente occasione (M. Cinelli, “«Pubblico», «privato» e Costituzione nelle attuali dinamiche della previdenza”, in “Rivista del diritto del-la sicurezza sociale”, 2017, pp. 401 ss.) – potrebbe essere valutato come ulteriore espressione di mutamento sistematico, accanto agli altri due qui considerati. La compenetrazione “pubblico-privato”, infatti, è fenomeno che coinvolge ormai pressoché tutti gli snodi significativi della materia: dalla previdenza complementare, ai regimi previdenziali privatizzati dei liberi professionisti, ai fondi bilaterali di solidarietà, tanto per citare i casi più eclatanti; ma si potrebbe dire anche dei riscatti, della prosecuzione volontaria, delle varie forme di raccordo tra spezzoni assicurativi di vari regimi previdenziali, e di altro ancora. Detta crescente compenetrazione tra “pubblico” e “privato”, d’altra par-te, non può non essere messa in rapporto ad altra vicenda particolarmente significativa dei mutamenti dell’attuale realtà del settore: lo stato di crisi nel quale oggi versa il modello dell’“assicurazione sociale”. A causa delle modifiche intervenute nel mercato e nelle tipologie del lavo-ro, detta assicurazione non appare più in grado di rappresentare – con il rigore e, sopratutto, con l’efficacia di una volta – lo strumento di protezione sociale elettivo, che tanto successo e per tanto tempo si è visto (giusta-mente) riconoscere (tanto da aver condotto alla identificazione, nel comune linguaggio, dello “strumento” – l’assicurazione sociale, appunto – con la stessa materia previdenziale nel suo complesso). Per altro verso, il principio di “condizionalità” si presta – come è stato convincentemente osservato di recente (L. Taschini, “I diritti sociali al tempo della condizionalità”, Giappichelli, Torino, 2019) – a tradurre in forma sintetica l’essenza stessa delle politiche in corso, calate in un conte-sto nel quale tende a prevalere idealmente, rispetto alle funzioni tradizionali solidaristiche e di integrazione sociale, la garanzia del corretto funzionamento dei mercati. Il rischio palese di tale complessiva situazione è l’ineffettività dei diritti sociali stessi.Emblematico il già ricordato loro “affievolimento”, specie quando la relativa tutela finisca per essere programmaticamente rimessa, in tutto o in parte, alla variabile incidenza dei vincoli di bilancio. Una situazione alla quale la crisi economica ha indubbiamente concorso a forni-re ulteriore alimento: nei fatti supportando la concezione secondo la quale i diritti sociali non sarebbero pienamente e direttamente esigibili, in quanto finanziariamente condizionati. Il rischio di ineffettività si aggrava, se vogliamo, anche in ragione del declino della concezione che apprezza i diritti sociali come meri diritti di prelievo, a favore della concezione– supportata, appunto, dalle regole del-la “condizionalità” – che li considera come diritti “contrattualizzati”: co-me diritti, cioè, che vanno “meritati” dall’interessato, attraverso l’assolvimento, appunto, di predeterminati oneri di attivazione e obbedienza.

10.- Già da queste poche notazioni (necessariamente affrettate, stante le limitazioni di tempo imposte dall’occasione) mi sembra che si possa argomentare – per tirare le fila del discorso – che la realtà normativa che ab-biamo di fronte è, sì, in movimento, come da “tradizione”. Direzione e meta di detto “movimento”, tuttavia, non risultano (ancora) sufficientemente definibili; anche se appare già chiaro al momento – e ne sono emblematiche le incidenze “di sistema” testé considerate –, la sostanziale insofferenza a restare all’interno del modello di stato sociale al quale la tradizione e, sopratutto, la Carta fondamentale ci hanno accostumati. Una spinta evolutiva che, in ogni caso – è bene sottolinearlo ancora una volta –, si sta delineando per fatti concludenti: in preoccupante assenza, cioè, di un esplicito, organico, sufficientemente meditato disegno riformatore, e comunque in un quadro sostanzialmente regressivo rispetto ai valori costituzionali, come finora recepiti.