NASpI anche per liberi professionisti e lavoratori autonomi?
2/2018 MAGGIO - AGOSTO
1. Il trattamento di disoccupazione in Italia
La Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (c.d. NASpI), la cui disciplina è contenuta nel d.lgs. 4 marzo 2015, n. 22, regolamenta il trattamento economico riconosciuto a tutela delle situazioni di disoccupazione nell’ambito del lavoro privato subordinato. Nonostante il tema della universalizzazione delle tutele contro la disoccupazione nel nostro Paese sia un refrain che accompagna gran parte dei provvedimenti normativi adottati in materia tra la metà degli anni Novanta fino ai primi due decenni del nuovo secolo, la NASpI offre una tutela circoscritta e ancora lontana dall’essere applicata a tutte le categorie di lavoratori. Il suo carattere universale sembra essere smentito, infatti, non solo dalla circostanza che ne sono del tutto esclusi coloro che sono in cerca di prima occupazione, ma anche per il fatto che la prestazione resta legata alla sussistenza dello stato di disoccupazione involontaria del lavoratore subordinato, nonchè dalla perdurante richiesta di requisiti contributivi e reddituali .
Nella prospettiva di un avvicinamento alle tutele del lavoro subordinato è stata prevista una indennità di disoccupazione mensile denominata Dis-Coll , anche per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, che ricalca la logica assicurativa della NASpI, differenziandosene tuttavia in senso peggiorativo per requisiti di accesso e durata delle prestazioni. Il trattamento, dapprima riservato ai collaboratori disoccupati, è stato rivisto in un’ottica più inclusiva, tanto che ora è esteso anche agli assegnisti e ai dottorandi di ricerca con borsa di studio in relazione agli eventi di disoccupazione verificatisi a decorrere dal 1° luglio 2017. Per quanto concerne la disciplina specifica del contratto di lavoro autonomo, benché recentemente riformata dal d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 , la stessa non contiene alcuna previsione specifica sul trattamento di disoccupazione per il lavoratore autonomo o per il libero professionista. Sul tema, inoltre, non sono rinvenibili neanche precedenti giurisprudenziali specifici, tantomeno con riferimento alla Naspi, la cui disciplina normativa è piuttosto recente. Benchè il legislatore non abbia fornito indicazioni specifiche per tali categorie di soggetti, alcuni aspetti problematici sono stati forniti dalle Circolari dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale che ha stabilito in ordine alla compatibilità della NASpI con i redditi derivanti da attività professionale esercitata da liberi professionisti iscritti a specifiche casse, nonchè sulle condizioni di permanenza per mantenere il diritto alla erogazione, anche si tratta di una ipotesi molto diversa rispetto a quella di estendere la prestazione di disoccupazione a tale categoria di soggetti. Il tema, merita attenzione, tanto che è stato recentemente affrontato dalla Corte di Giustizia UE che esprimedosi in ordine all’art. 7 lett. b) della Direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, in relazione al Social Welfare Consolidation Act 2005, ha riconosciuto la possibilità di accedere al trattamento di disoccupazione irlandese al cittadino della comunità europea residente in Irlanda che aveva dovuto chiudere la sua attività di imbianchino a causa delle contrazioni del mercato.
2. Compatibilità della Naspi con i redditi di liberi professionisti iscritti a casse specifiche
La gestione del trattamento NASpI incontra sicuramente dei aspetti problematici allorchè non si rimanga nell’ambito del lavoro subordinato “puro” ed il lavoratore che scelga di svolgere, accanto alla propria attività di lavoratore autonomo, anche una attività di lavoro subordinato. La circolare n. 174 del 23 novembre 2017 Inps, a tal proposito, impartisce istruzioni applicative in ordine alla compatibilità ed al cumulo con la Naspi di ulteriori attività rispetto a quelle già contemplate nelle circolari n. 94 e n. 142 del 2015, sul presupposto che da quando la legge n. 92 del 2012 ha introdotto la possibilità, in modo più significativo, di svolgere “attività di lavoro” in concomitanza con la percezione della prestazione di disoccupazione si è reso necessario regolamentare le singole ipotesi, fornendo adeguate indicazioni per evitare iniquità nel sistema. A tal fine, la circolare chiarisce che lo svolgimento da parte di chi percepisce l’indennità disoccupazione, di “attività non formalmente inquadrate nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato o non riferibili in senso stretto ad attività lavorativa autonoma o di impresa individuale”, ma che comunque producono una forma di compenso o un reddito che si aggiunge alla indennità di disoccupazione, trovi applicazione la disciplina prevista dagli artt. 9 e 10 del D.Lgs. n. 22 del 2015, rispettivamente in tema di decadenza, sospensione e riduzione dell’importo della prestazione per l’ipotesi di contestuale svolgimento di rapporto di lavoro subordinato e di riduzione dell’importo della prestazione in caso di svolgimento di attività lavorativa in forma autonoma o di impresa individuale. Proprio con riferimento ai liberi professionisti iscritti a specifiche casse, tra cui gli avvocati, la circolare fa luce sull’apparente (totale) incompatibilità tra l’indennità di disoccupazione NASpI e il reddito derivante dallo svolgimento di attività professionale. L’obiezione sulla compatibilità poggia, infatti, sulla circostanza che nel caso di esercizio di attività, in costanza di percezione di NASpI, da parte di professionisti non troverebbe attuazione la disposizione di cui all’art.10, comma 2, del D.Lgs. n. 22/2015 in quanto i liberi professionisti sono iscritti, ai fini dell’assicurazione generale obbligatoria a specifiche casse non gestite dall’INPS, e la relativa contribuzione non può pertanto essere riversata alla Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti, di cui all´art. 24, legge n. 88/1989, con conseguente decadenza dalla prestazione di disoccupazione. La circolare evidenzia, tuttavia, l’ipotesi in cui il medesimo libero professionista percettore di NASpI che ne richiedesse “il pagamento anticipato in unica soluzione”, la prestazione, non sussistendo alcuna contribuzione da riversare alla predetta Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti, sarebbe invece erogabile. L’INPS, pertanto, apre la possibilità di cumulo tra il trattamento NASpI e l’attività libero professionale ma a condizione, che: - la prestazione previdenziale si riduca nella misura prevista da legge (80% del reddito previsto derivante dall’attività lavorativa); - solo nell’ipotesi in cui il professionista richieda il pagamento della NASpI in un’unica soluzione; - se il reddito derivante dall’attività professionale non superi i 4.800 euro riferiti al periodo di erogazione dell’indennità di disoccupazione; - purchè il professionista beneficiario della prestazione, a pena di decadenza, informi l’Inps entro un mese dall’inizio dell’attività cui si riferiscono i compensi, o dalla presentazione della domanda di NASpI se la suddetta attività era preesistente, dichiarando il reddito annuo che prevede di trarne anche ove sia pari a zero. La ratio di tale interpretazione, come dichiarato dalla stessa circolare, è quella di distinguere tra coloro che “non dispongono di alcuna altra risorsa di tipo finanziario” e chi invece può “contare su altro gettito”.
3. Le aperture della Corte di Giustizia: possibilità di estendere il trattamento di disoccupazione anche al lavoratore autonomo
Come anticipato, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la sentenza n. C-442/16 del 20 dicembre 2017 si è espressa in ordine all’art. 7 lett. b) della Direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, in relazione al Social Welfare Consolidation Act 2005 (legge generale sulla previdenza/protezione sociale) irlandese, che all’art. 139 istituisce, tra una serie di prestazioni di assistenza sociale, una indennità per le persone in cerca di occupazione. In particolare, mentre per i Giudici irlandesi il lavoratore autonomo richiedente la prestazione di disoccupazione non ne avrebbe avuto diritto sul presupposto che non avrebbe conservato lo status di lavoratore per il paese ospitante, e quindi non avrebbe più soddisfatto le condizioni previste dalla direttiva sulla libera circolazione ai fini della concessione di un diritto di soggiorno, trovando la disposizione richiamata applicazione esclusivamente per chi abbia esercitato un’attività subordinata, diverso è stato il giudizio della Corte di Lussemburgo. La Corte di Giustizia , infatti, che da sempre ha avuto un ruolo fondamentale per l’integrazione europea, dimostrandosi attenta alla tutela delle garanzie sociali dei cittadini migranti e delle merci, libere da vincoli di nazionalità e concorrenza tra Stati e da primitive forme di dumping sociale, all’interno del territorio dell’Unione nel valutare il caso sottopostole ha fornito una interpretazione estensiva del concetto di «attività economica» contenuto nella citata direttiva, giungendo così a ritenere che sia possibile estendere il diritto alla prestazione di disoccupazione irlandese anche ad un lavoratore migrante che in precedenza aveva svolto attività di lavoro autonomo. Il percorso interpretativo della Corte di Giustizia UE passa attraverso imprescindibili principi che dovrebbero reggere un razionale sistema di sicurezza sociale, invocando dapprima quello di “uniformità del diritto”, chiarendo che qualora si rinvenga difformità tra disposizioni l’interpretazione da dare è quella che risponde all’economia generale e alla finalità della normativa, per poi giungere alla necessità di garantire il rispetto dei principi di non discriminazione e di parità di trattamento che compaiono nei Trattati sin dalle origini, ma che si sono gradualmente aperti a situazioni soggettive proprio grazie al contributo della giurisprudenza della Corte di giustizia consentendo il lento e regolare procedere dell’integrazione europea . Applicando i principi menzionati, la Corte di Giustizia supera la distinzione tra lavoratori autonomi e subordinati, optando per il mantenimento dello status di lavoratore e conseguentemente considerando soddisfatto il requisito del diritto di soggiorno richiesto dalla direttiva e dalla legge irlandese del 2005 per entrambe le categorie di lavoratori qualora abbiano cessato di esercitare la loro attività professionale per circostanze a loro non imputabili, ampliando quindi le garanzie dei cittadini migranti. Sotto questo profilo, la sentenza si pone in linea con l’evoluzione della nozione di lavoratore e soprattutto con quella di lavoro subordinato, in favore di una accezione flessibile e comprensiva di rapporti lavorativi prima esclusi dalla sfera di applicazione dell’art. 45 TFUE. Circolare liberamente per i cittadini dell’Unione implica, infatti, anche permanere sul territorio dello Stato membro ospitante a conclusione del rapporto di lavoro, beneficiando della protezione sociale, a patto di dare dimostrazione di un comportamento attivo nel mercato del lavoro. L’importanza della pronuncia in questione sta nel compimento di un ulteriore passo avanti verso il diritto alla libertà di circolazione e soggiorno sul territorio dell’Europa per tutti i lavoratori comunitari e rappresenta una spinta verso la realizzazione di un più compiuto processo di universalizzazione delle tutele di protezione sociale. Sarà inoltre interessante verificare le ripercussioni nei sistemi di sicurezza sociale degli Stati membri, compreso quello italiano, per l’estensione della tutela contro la disoccupazione a tutti i lavoratori in senso lato.