Pensionati della Cassa Forense e obblighi contributivi
3/2018 SETTEMBRE - DICEMBRE
La Corte di Appello di Napoli, con sentenza n. 4006 del 25.06.2018, ha affrontato la tematica della legittimità dell’imposizione contributiva soggettiva prevista dall’ordinamento previdenziale forense a carico degli avvocati pensionati ancora in attività dopo la maturazione del diritto alla percezione dell’ultimo supplemento di pensione.
Sul punto è opportuno evidenziare che l’art. 2, comma 3, del Regolamento dei contributi della Cassa - nella formulazione introdotta con delibera del Comitato dei Delegati della Cassa del 17.03.2006 (approvata dal Ministero del Lavoro il 21.12.2006, comunicata in Gazzetta Ufficiale del 6.02.2007) – ha previsto il pagamento del contributo soggettivo da parte dei pensionati di vecchiaia a partire dal 6° anno solare successivo alla maturazione del diritto a pensione. Tale importo era dovuto fino al tetto reddituale di cui all’art. 10 della l. n. 576/80 nella misura del 4% del reddito irpef dichiarato a partire dal modello 5/2009, fermo restando il versamento del 3% oltre il tetto, già previsto dall’art. 10 della l. n. 576/80 e successive modifiche, anche regolamentari.
Successivamente, la percentuale del contributo soggettivo dovuto fino al tetto di cui sopra è stata elevata al 5% del reddito irpef dichiarato a partire dal modello 5/2010 - con delibera del Comitato dei Delegati della Cassa del 19.09.2008 (approvata dal Ministero del Lavoro il 19.11.2009 comunicata in Gazzetta Ufficiale del 31.12.2009) – ed al 7% del reddito irpef dichiarato a partire dal modello 5/13 – con delibera del Comitato dei Delegati della Cassa del 5.09.2012 (approvata dal Ministero del Lavoro il 9.11.2012 comunicata in Gazzetta Ufficiale del 5.12.2012). Orbene, la Corte di Appello di Napoli ha ritenuto, innanzitutto, esplicitamente di aderire all’orientamento della giurisprudenza costituzionale e di legittimità, in base al quale, fermo restando “il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale esercitata dalla Cassa di Previdenza Forense (v. C. Cost. n. 15/99), che giustifica il permanere dell’obbligatorietà della iscrizione e della contribuzione […] gli enti privatizzati […] sono abilitati, in virtù della delega conferita al Governo dall’art. 1, c. 32, L. n. 537/93 ed attuata con il D. Lgs. N. 509/94, ad adottare in condizioni di “autonomia gestionale, organizzativa e contabile” (c. art. 2, comma1, D. Lgs. N. 509/94 cit.). Ciò significa – evidentemente – che essi hanno potestà regolamentare autonoma, tranne che in determinate materie per le quali è prevista una riserva di legge (v. la composizione degli organi collegiali e l’obbligo di iscrizione e contribuzione: art. 1, comma 4, lett. a), art. 3, comma 4, art. 1, comma 3, D.Lgs. n. 509/94). Quindi nelle altre materie, quale quella che ci occupa, è possibile disporre in deroga alla legge risultando modificati gli strumenti di gestione dell’ente per effetto della trasformazione ed assunzione della personalità di diritto privato”. La pronuncia della Corte di Appello di Napoli, pertanto, è in perfetto allineamento circa l’autonomia della Cassa Forense con la più recente giurisprudenza di legittimità.
Infatti, la Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 3461/2018, facendo espressamente seguito alle precedenti pronunce n. 19981/2017, n. 12209/2011 e n. 24202/2009, ha affermato che “a) il nuovo ente, sorto per effetto del D. Lgs. 30 giugno 1994, n. 509 in attuazione della delega conferita dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 1, comma 32, non fruisce di finanziamenti o di altri ausili pubblici di carattere finanziario e mantiene la funzione di ente senza scopo di lucro cui continuano a fare capo i rapporti attivi e passivi ed il patrimonio del precedente ente previdenziale; b) tale ente ha assunto la personalità giuridica di diritto privato con il mantenimento dei poteri di controllo ministeriale sui bilanci e di intervento sugli organi di amministrazione (oggi più penetranti per effetto dell’art. 14 l. n. 111/2011) in aggiunta alla generale soggezione al controllo della Corte dei Conti ed a quello politico da parte della Commissione parlamentare di cui all’art. 56 della legge n. 88/1989: dunque è rimasto immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza e assistenza svolta dall’ente originario, non incidendo su di esso la modifica degli strumenti di gestione legati alla differente qualificazione giuridica e permanendo l’obbligatorietà della contribuzione a conferma della rilevanza pubblicistica dell’inalterato fine previdenziale, come affermato da Corte costituzionale n. 248 del 18 luglio 1997, oltre che del principio di autofinanziamento (cedi Corte Cost. n. 340 del 24 luglio 2000); c) il riconoscimento, operato dalla legge in favore del nuovo soggetto, dell’autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile che, comunque, non esclude l’eventuale imposizione di limiti al suo esercizio (cd. Corte Cost. n. 15/1999), ha realizzato una sostanziale delegificazione attraverso la quale, nel rispetto dei limiti imposti dalla stessa legge, è concesso alla Cassa di regolamentare le prestazioni a proprio carico anche derogando a disposizioni di legge precedenti, secondo paradigmi sperimentati ad esempio laddove la delegificazione è stata utilizzata in favore della contrattazione collettiva (vd. Cass. N. 29829 del 19 dicembre 2008; 15135/2014). […]
L’operatività di tale delegificazione all’interno del sistema delle fonti, deve aggiungersi, è stata confermata dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 254/2016 […]. La citata ordinanza (n.d.r.: resa proprio a seguito della rimessione operata nel giudizio di primo grado definitosi con la sentenza oggetto del gravame su cui si è pronunciata la Corte di Appello di Napoli n. 4006/2018), dopo aver richiamato la giurisprudenza di questa Corte di Cassazione relativa alla “sostanziale delegificazione” della materia, ha ribadito che la giurisdizione del giudice costituzionale, ai sensi dell’art. 134 Cost., non si estende a norme di natura regolamentare, come i regolamenti di “delegificazione” (Corte Cost. n. 427 del 2000) […]. La delegificazione in oggetto […] risulta legittimamente adottata in assenza di una riserva assoluta di legge in materia di regolamentazione da parte della cassa degli obblighi contributivi e di rimborso dei contributi versati, né si ravvisa alcuna violazione delle finalità indicate dalla legge di delegificazione” (in senso conforme, anche la più recente sentenza della Suprema Corte, n. 4980/2018, citata dalla Corte di Appello di Napoli nella motivazione della sentenza n. 4006/2018 e Corte d’Appello di Roma, n. 539/2017). La Corte di Appello di Napoli ha, inoltre, affrontato la questione della compatibilità della contribuzione di solidarietà a carico degli avvocati pensionati con i principi costituzionali di eguaglianza e di adeguatezza dei trattamenti previdenziali di cui agli artt. 3 e 38. La medesima ha dunque rilevato che il versamento dei contributi di solidarietà, da parte di tutti i professionisti iscritti alla Cassa – compresi i pensionati che conservino detta iscrizione –, è espressione del principio costituzionale di solidarietà di cui all’art. 38 Cost., che connota tutti i sistemi previdenziali categoriali e che, pertanto, non può sussistere un principio di proporzionalità tra contribuzione versata e prestazioni da ricevere, ma soltanto una proporzionalità tra contribuzione e necessità finanziarie dell’ente al fine di garantire a tutti gli iscritti il godimento dei trattamenti previdenziali.
Sul punto la Corte Costituzionale era già intervenuta sull’argomento, dichiarando infondate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 10, I comma, lett. b), e 2, II e V comma, legge n. 576/80, nella parte in cui prevedono che i professionisti produttori di redditi professionali eccedenti il tetto debbano fruire di una pensione commisurata ai soli redditi rientranti nella predetta fascia, pur avendo versato, anche se in misura ridotta, i contributi relativi alla parte di redditi eccedente (cfr. C.Cost., sent. 4 maggio 1984, n. 132). In senso conforme alla suddetta sentenza della Corte Costituzionale si sono espresse la Corte di Appello di Roma, con sentenze n. 2877/2013, n. 712/2014 e n. 1555/2014, la Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 10.07.2014 e la Corte di Appello di Brescia, con sentenza n. 127/2012). Opportuno inoltre rimarcare che la Corte di Cassazione, con sentenza n. 10459/98, nel richiamare il citato orientamento della Corte Costituzionale, aveva espressamente chiarito “come nell’esperienza italiana sia possibile individuare due tipologie di sistemi previdenziali, quello, prevalso soprattutto nel passato, definibile come "mutualistico" e quello, che tende a prevalere nel presente, definibile come "solidaristico". Il primo dei due si caratterizza per la riferibilità dell’assunzione dei fini e degli oneri previdenziali alla esigenza della divisione del rischio tra i soggetti assicurati e per la rigorosa proporzionalità tra contributi e prestazioni previdenziali, (che è ispirata allo schema sinallagmatico fra premi e indennità, proprio dell’assicurazione privata).
Il secondo (definito "solidaristico") si caratterizza per la riferibilità dell’assunzione dei fini e degli oneri previdenziali a principi di solidarietà, secondo il modello della sicurezza sociale, sia pure all’interno della categoria, e per l’irrilevanza della proporzionalità fra contributi e prestazioni, essendo considerati i primi unicamente quali mezzo finanziario della previdenza sociale, che è prelevato fra tutti gli appartenenti alla categoria. […]
Analoga funzione, a ben vedere, ha il contributo del 3% dovuto sulla parte del reddito professionale che eccede il tetto fissato per la contribuzione soggettiva, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lettera b), ovvero quello, di pari importo, dovuto dai pensionati di vecchiaia che conservino l’iscrizione all’albo dopo la maturazione del diritto al supplemento di pensione, ai sensi dell’art. 10, comma 3 della legge”. Da ultimo, la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 67/2018 – citata in motivazione dalla Corte di Appello di Napoli - ha ritenuto che “l’abbandono di un sistema interamente disciplinato dalla legge, dopo la trasformazione della Cassa in fondazione di diritto privato, al pari di altre Casse categoriali di liberi professionisti, in forza del D.Lgs. n. 509/1994, e l’apertura all’autonoma regolamentazione del nuovo ente non hanno indebolito il criterio solidaristico”, “con il citato D.Lgs. n. 509 del 1994, il legislatore delegato, in attuazione di un complessivo disegno di riordino della previdenza dei liberi professionisti, ha arretrato la linea d’intervento della legge (si è parlato in proposito di delegificazione della disciplina: da ultimo, Cassazione Civile, n. 3461/2018), lasciando spazio alla regolamentazione privata delle fondazioni categoriali, alle quali è assegnata la missione di moderare tale forma di previdenza” … “Rientra ora nell’autonomia regolamentare della Cassa dimensionare la contribuzione degli assicurati”. La Corte d’Appello di Napoli ha confermato il citato orientamento, concludendo che “l’intero sistema, dunque, costituisce un equo e ragionevole bilanciamento degli interessi patrimoniali privati del singolo professionista e dell’interesse solidaristico dell’intera categoria e nessuna delle diverse sotto-categorie può considerarsi privilegiata o discriminata rispetto alle altre.
Nessuna disparità di trattamento sembra sussistere”, in quanto, “tutti gli avvocati in attività sono tenuti a versare la contribuzione di solidarietà, con la quale si finanziano anche le prestazioni assistenziali mentre solo gli avvocati in attività che ancora stanno accumulando montante contributivo utile per il calcolo della pensione sono tenuti a versare per intero i contributi previsti dalle norme di categoria laddove gli avvocati in attività che non maturano più montante contributivo godono di un triplice beneficio ovvero cumulano la pensione con i redditi da lavoro, ottengono un radicale abbattimento delle aliquote contributive e accumulano, comunque, contribuzione idonea per un’ulteriore indennità una tantum”.