Possibili orientamenti per la difesa scritta

2/2022 MAGGIO-AGOSTO

Roberto G. Aloisio

L’avvocato seleziona lo stile della prosa, che deve essere concisa e precisa.

a) La concisione si risolve nella sintesi della prosa (scritta), che accorpi nel minor numero possibile di parole il concetto che s’intende comunicare. Il che comporta l’uso corretto delle parole e della costruzione delle frasi, per rendere intellegibile, a colpo d’occhio, il pensiero che si vuole esprimere. La concisione renderà al lettore o all’ascoltatore più gradevole la comunicazione, perciò più propenso a seguire il ragionamento, senza troppi fastidi;

b) la precisione apporta alla comunicazione snellezza nel linguaggio e facilità nella comprensione, eliminando equivoci ed inesattezze nella frase significante.

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In secondo luogo, bisogna scegliere un metodo di scrittura. I metodi ricorrenti sono tre:

– quello analitico;

– quello sintetico;

– quello sistematico.

A. L’analisi suppone un rapporto tra l’interprete ed il testo, meglio, le parole che compongono un testo, sia esso di diritto, sia esso negoziale: in entrambi i casi, il procedimento ermeneutico appare identico. Analizzare significa esaminare funditus il significato dei verba per ricavarne il significato: si procede quindi dal significante (simbolo) al significato (contenuto).

Ricavato dunque il contenuto della norma (legale o volontaria), si passa alla sintassi della proposizione analizzata e si approderà ad un primo (sia pure insufficiente) stadio interpretativo.

B. La sintesi si raggiunge quando da tutti i dati analizzati si compie l’accorpamento unitario dei significati del testo, pervenendo ad un quadro unitario, che vie- ne appunto chiamato “sintetico”.

C. Il procedimento sistemico a me pare essere il più complesso, perché implica l’uso di tecniche specialistiche, acquisite nel corso dell’esperienza.

Sistema significa costruzione delle basi dell’argomentazione che dovrà svilupparsi sino a sfociare nel ragionamento giuridico.

Il metodo sistematico non è uno soltanto, ma, tra i tanti, quello riconosciuto dalla scienza giuridica come il più attendibile ed autorevole (per la secolare storia che ha dietro di sé), è quello della dogmatica, che parte da concetti di base, universalmente riconosciuti, per erigere le strutture del sistema. Il compito di “fare” dommatica spetta ai teorici del diritto, che, con la loro conoscenza scientifica, configurano i concetti “primitivi”, che sono la base dei concetti “costruttivi”.

I concetti primitivi sono, ad esempio, termini come norma, diritto (soggettivo ed oggettivo), potere, potestà, persona etc, mentre concetti costruttivi sono, sempre a titolo esemplificativo, atto e negozio giuri- dico, situazione giuridica e gli istituti elaborati e derivati come la simulazione, la risoluzione, la trascrizione e altri ancora.

Negli anni sessanta il Paresce chiariva che «per dogmatica giuridica comunemente si intende il risultato della elaborazione concettuale sistemica delle norme giuridiche raggiunta attraverso l’impiego di procedi- menti logici astrattivi.

Si intende, altresì, il complesso dei principi e dei mezzi impiegati per la costruzione di questo sistema nonché [……] l’insieme delle forme che determinano e qualificano l’intero campo dell’esperienza giuridica» (cfr. Enrico Paresce, Voce Dogmatica giuridica, in Enc. Dir., Vol. XIII, Giuffré, 1964, pag. 678).

D. Ora ci occuperemo dell’argomentazione, con i suoi metodi e fini. Secondo Bice Mortara Garavelli, il discorso deve fare i conti con gli scopi del parlare ed, in tal senso, deve essere “congruente” ed appropriato.

Le virtù del discorso sono essenzialmente pragmatiche e, secondo l’A., sono tre:

– la prima è costituita dalla “correttezza lessicale e grammaticale”;

– la seconda è rappresentata dalla “chiarezza e perspicuità” necessaria perché il discorso sia comprensibile;

– la terza è rappresentata dalla “bellezza derivante da un lusso sapienziale regolato di mezzi e ornamenti”: è in sostanza “la capacità di far presa e di imprimersi nella mente” di chi legge e irradia la sua forza anche “sull’applicazione” delle altre virtù” (cfr. Bice Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Fabri-Bompiani-Sonzogno-Etos, Milano, 1999, p. 114).

L’interprete quindi deve ben argomentare, ricavando dal significante della norma (legale o negoziale), il significato della stessa. Ciò dovrà fare tenendo conto del testo e del contesto (cf. Natalino Irti, Testo e contesto, Cedam, 1996, passim, in particolare, p. 123-127), per formulare, in particolare, la proposta stipulativa alla controparte (che si dovrà difendere) e al Giudice (che dovrà decidere).

In tale prospettiva, argomentazione e interpretazione vanno di pari passo, perché la prima è funzionale alla seconda.

L’argomentazione interpretativa individua gli «elementi di un tutto e coordina la vita di questi con la vita del tutto», che si risolve in «quello che noi definiamo il “sistema del diritto comune”», che ha, come premessa fondante «la subordinazione di tutto il diritto umano – ecclesiastico e civile – al diritto divino» (cfr. France- sco Galasso, Medioevo del diritto, I° Le fonti, Giuffrè, 1954, p. 470).

L’argomentazione, con l’interpretazione, parte dai principi generali del diritto, che i giuristi elaborano attraverso l’opera della loro scienza, dalla politica del legislatore e, per ultimo (ove serva), dalla prassi giurisprudenziale.

I principi indicano i valori perseguiti dall’ordinamento (ad. es. eguaglianza, solidarietà, libertà, etc.) e, secondo autorevole dottrina, «sono punti di partenza ma non esiti del ragionamento giuridico, fattori ma non criteri della soluzione giuridica» (così, Aurelio Gentili, Il diritto come discorso, Giuffrè, 2013, p. 339).

Nella ricostruzione di Guido Alpa, si ritrovano quattro tesi interpretative: l’ermeneutica (che fa capo ad Emilio Betti), la tesi positivistica (riferibile a Norberto Bibbio), quella storicistica (attribuita a Gino Gorla), la giusrealista (di Giovanni Tonello) (cfr. Guido Alpa, I principi generali, 1993, pp. 164-179).

In ultima analisi, l’interprete svolge un ruolo decisivo nell’attuazione dell’ordinamento, una funzione nettamente creativa, che è causa causante dell’evoluzione giuridica: «qualunque interpretazione non è mai, a rigore, esclusivamente dichiarativa, ma si posa su una ricostruzione della norma interpretata che ne costituisce mero sviluppo, e un adattamento» (cfr. Tullio Ascarelli, Saggi giuridici, Giuffrè, 1949, p- 61).

E. Scritto qualcosa sul metodo, resta ora da affrontare il tema del fine dell’argomentazione.

Quando si parla di argomentazione giuridica si fa ri- ferimento al diritto come discorso, considerando “i fatti che pongono o ricevono le regole” (cfr. Guido Alpa, in- troduzione a Il diritto come discorso di Aurelio Gentili, Giuffrè, 2013, p. VI). Il quomodo dell’argomentazione consiste nel chiarire e chiarezza significa esprimere i concetti in modo semplice, facilmente intellegibile al lettore o all’uditorio.

L’esprimere e il discorrere servono a spiegare l’argomento, che dovrà incidere in mente iudicis. A volte occorrono molte idee per spiegare e convincere, si tratta di scegliere le buone idee. In ultimo, v’è da esaminare il fine dell’argomentazione, che equivale al fine del diritto, che è la giustizia.

Questa non è una mia personale opinione: lo ha af- fermato uno dei massimi giuristi del ’900, quando ha scritto che «sia in linea generale e dottrinaria, sia ai fini della soluzione di un caso concreto, l’interpretazione deve da un lato essere giusta ed equa, e dall’altro, armonizzarsi alle soluzioni anteriori; il diritto deve essere stabile, pur non potendo essere immutabile; deve adattarsi continuamente, pur rimanendo certo» (cfr. Ascarelli, op. cit., p. 65).

Se l’interpretazione deve essere giusta (corretta), a fortiori giusta deve essere la decisione del Giudice, che non può mai risolversi in arbitrio (sia pur) fon- data sulla genericità delle norme: in queste ultime, occorre rinvenire «un criterio razionale oggettivo e controllabile per pervenire alla regola del caso», il che consente «non soltanto il massimo possibile di giustizia consentito dall’ordinamento dato, ma anche una possibilità di attendibile predizione di ciò che un giudice saggio stabilirà» (cfr. A. Gentili, op. cit., p. 351).

La definizione della giustizia non è agevole e si ricava dai principi dell’ordinamento.

Il compito del giurista corrisponde alla «necessità di assicurare l’armonia logica di ogni soluzione, di ogni norma nel sistema precostituito»; con l’applicazione uni-forme della legge, in tutti i casi, «il giurista adempie già una funzione di realizzazione della giustizia» (cfr. Ascarelli, op. cit., p. 68).

La costruzione della scienza giuridica (funzionale alla giustizia) è pur sempre «scienza di un’esperienza particolare e le nostre costruzioni di asserite teorie generali del diritto erano pur sempre e soltanto teorie generali di esperienze particolari» (cfr. Riccardo Orestano, Diritto, incontri e scontri, Il Mulino, 1981, p. 523).

Ciò di cui non si può prescindere, nell’attuazione del diritto e della giustizia, è la realtà dei fatti. In tal guisa, Orestano, segnala la parte finale di un discorso condotto (in treno) con Capograssi, il quale ultimo affermò conclusivamente che «l’importante (adde: nell’attività del giurista) è non arrivare mai a una negazione della realtà» (Orestano, op. cit., p. 524).

Sul piano della prassi forense, nella redazione degli atti difensivi, l’avvocato si avvale (e non può non avvalersi) della tradizione, della imitazione e dell’omologazione, ai fini della persuasione, dell’argomentazione, della prova e della petizione (così, Guido Alpa, L’avvocato e il processo, Le tecniche della difesa, a cura di Mariani Marini e di Paganelli, Giuffrè, 2003, p. 17). Lo scritto difensivo «è scritto per provare la fondatezza della tesi difensiva» e «per chiedere al giudice un provvedimento» (adde: positivo per il postulante) (cf. Alpa, op. cit. p. 23).

Il processo è governato dal principio del contraddittorio, in base al quale le parti dicono, contraddicono e svolgono le loro tesi logico-giuridiche. Nel contraddittorio aleggia il dubbio, che «esprime il grado logico di due soluzioni, cioè […omissis...] l’equivalenza di ragionamenti contrari […omissis…].

Soluzioni opposte si presentano sorrette da argomenti di eguale dignità: il dubbio, che è suspensio judici, incapacità di prendere la decisione. Il dubbio è indecisione. Ma gli uomini indecisi, i naufraghi del dubbio, non sono contemplati dal diritto» (cfr. Natalino Irti, Le scelte dell’avvocato, le scelte del giudice, in L’avvocato e il processo, op. cit., p. 340). Compito del Giudice è quello di sciogliere ogni dubbio, il decidere il caso concreto, con «l’esercizio di un’argomentante volontà» (cfr. Irti, op. cit., p. 347).

Senza mai prescindere dal fatto che il processo è definibile come “ordine isonomico”: «ove l’aggettivo significativamente rimanda a un dato non funzionale, bensì strutturale, qual è quello della parità tra le parti e tra queste e il Giudice o meglio ancora della pariteticità dei rispettivi ruoli, rigidamente distinti e mai sovrapponibili e della comune soggezione alle regole del processo; così come strutturale è la definizione dell’antitetico “ordine asimmetrico”, caratterizzato da una posizione sopraelevata del giudice» (cfr. Bruno Cavallone, Alessandro Giuliani processualista (ordine isonomico, ordine asimmetrico, principio dispositivo, principio inquisitorio), in AA.VV., Alessandro Giuliani: l’esperienza giuridica fra logica ed etica, Giuffrè, 2012, p. 360).

F. Questo breve excursus è stato un tentativo di svolgere una sintesi sull’argomentazione forense e non so se abbia fornito concetti chiari utili al lettore: è quest’ultimo l’arbitro del giudizio.

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Chiudo queste brevi pagine con un pensiero, che si riferisce alla luce della giustizia “impossibile da scomporre sullo spettro, come si fa per luce solare” (v. Carnelutti, Me- todologia del diritto, Padova, 1939, p. 31): «la verità è discesa da cielo e la via della verità è quella che vi conduce» (Carnelutti, op. cit., p. 113). Come dice Natalino Irti, «siamo sulla soglia del mistero. Un regno, sconosciuto e inconoscibile, è il supremo approdo della scienza. Esso: misura delle leggi, risultato del nostro lavoro, fondamento del sapere giuridico.

L’interrogativo trova risposta; ma esige il sacrificio stesso della scienza, la negazione di ogni verifica sperimentale o conoscere storico.

La salvezza è nel suicidio della ragione. Il compimento della scienza nella sua autodistruzione» (N. Irti, La Metodologia del diritto di Francesco Cannelutti, F. Carnelutti, Metodolo- gia del diritto, CEDAM, 1990, XIX).