Termine di rettifica della pensione forense

3/2019 SETTEMBRE - DICEMBRE

di Luisa Surdi

La privatizzazione della Cassa forense, come noto avvenuta in forza del d.lgs. n. 509/1994, non ha modificato né le attività previdenziali e assistenziali svolte dalla Cassa, né il carattere pubblicistico di tali attività (in tal senso gli artt. 1, c. 3, e 2, c. 1, del già richiamato d.lgs. n. 509/1994 nonché l’art. 2, d.lgs. n. 103/1996).

Dalla natura pubblicistica discende l’obbligatorietà di iscrizione e contribuzione (la Corte cost., nella sent. n. 248/1997, ha invero ritenuto che “la comunanza di interessi degli iscritti comporta che ciascuno di essi concorra con il proprio contributo al costo delle erogazioni della quali si giova l’intera categoria, di talché il vincolo può dirsi presupposto prima ancora che imposto” né al contempo risultando “altrimenti offesi libertà, diritti e principi costituzionalmente garantiti” ivi incluso l’art. 18 Cost., in materia di libertà negativa d’associazione dei singoli, in quanto l’ente sarebbe “meglio idoneo all’attuazione di finalità schiettamente pubbliche, trascendenti la sfera nella quale opera il fenomeno associativo costituito per libera determinazione dei privati”; conforme Cass., sez. Un., ord. 20 giugno 2012, n. 10132; v. al riguardo G. CANAVESI [a cura di], L’incerto destino della privatizzazione della previdenza dei liberi professionisti, in La previdenza dei liberi professionisti dalla privatizzazione alla riforma Fornero, Torino, 2017, 20) nonché l’indisponibilità delle prestazioni previdenziali dalla medesima Cassa gestite.

I diritti previdenziali, infatti, quali diritti sociali godono, in via generale, dello statuto giuridico proprio dei diritti fondamentali: sono, cioè, diritti personali, inalienabili, indisponibili, intrasmissibili, irrinunciabili, inviolabili (v. M. CINELLI, Diritto della previdenza sociale, Torino, 2018, 258). I suddetti diritti sono peraltro tutelati anche contro eventuali atti dispositivi compiuti dagli stessi interessati ex art. 2113 c.c. Ai sensi dell’art. 2115 c.c. è nullo, infatti, qualsiasi patto diretto ad eludere diritti ed obblighi relativi alla previdenza. Se la indisponibilità della tutela previdenziale è, per il beneficiario assoluta, la legislazione, tuttavia, prevede delle (parziali) deroghe al principio di intangibilità delle prestazioni in favore di determinati soggetti e per crediti fondati su particolari titoli. Tanto, invero, accade, in particolare a favore degli stessi Enti previdenziali per le prestazioni indebite. Detti Enti hanno, infatti, il potere di procedere alla rettifica dei propri provvedimenti in caso di errore, di qualsiasi natura, commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione di prestazioni pensionistiche.

A fronte di tale potere, nel settore privato (vale dire l’assicurazione generale obbligatoria i.v.s. e le gestioni sostitutive e integrative della stessa) e nel settore pubblico (ex INPDAP), il legislatore si è fatto carico dell’esigenza di tutelare il pensionato dal rischio di dover restituire all’Ente previdenziale le somme indebitamente percepite, quando le stesse siano state ricevute in buona fede e sulla base di un provvedimento idoneo a ingenerare un legittimo affidamento sulla definitività della prestazione. Si è in presenza, cioè, del principio di diritto della soluti retentio dei ratei di pensione indebiti, percepiti in buona fede, che concerne gli indebiti derivanti da errori sia nell’an che nel quantum, disciplinato da norme speciali (per il settore privato artt. 52, 1° c., l. n. 88/1989 e 13, l. n. 412/1990), derogatorie al principio generale dettato dall’art. 2033 c.c.

Il regime di soluti retentio riguarda, però, soltanto l’assicurazione generale obbligatoria e le gestioni sostitutive e integrative della stessa, non già i fondi autonomi, cioè quelli dei liberi professionisti, e tra questi, quello della Cassa Forense. Infatti, la Cassa Forense, ai sensi dell’art. 20, l. n. 876/ 1980, può rettificare la determina di liquidazione della prestazione pensionistica in qualsiasi momento successivo al pensionamento, nei limiti della prescrizione decennale. Tale disposizione, prevede infatti in capo alla Cassa la facoltà di controllare, all’atto della domanda di pensione, la corrispondenza tra le dichiarazioni annuali dei redditi e le comunicazioni annualmente inviate dallo stesso iscritto, limitatamente agli ultimi dieci anni.

Tanto è stato recentemente ribadito dalla Suprema Corte di cassazione, con la sentenza n. 16415 del 19 giugno 2019, per la quale la privatizzazione della Cassa non ha mutato la natura assolutamente indisponibile e inderogabile delle norme – di legge e regolamentari – disciplinanti la prestazione previdenziale, alla quale non si può applicare lo schema privatistico “proposta contrattuale accettazione”. La controversia presa in esame dal Supremo consesso riguardava, invero, un ex avvocato che, a distanza di pochi mesi dall’erogazione della prestazione, vistosi ridurre l’ammontare della pensione dalla Cassa, ha adito l’autorità giudiziaria perché l’Ente fosse condannato al pagamento della pensione nella misura originaria. L’ex avvocato osservava, in particolare, che la misura della pensione comunicata dalla Cassa, a seguito della privatizzazione operata dal d.lgs. n. 509/1994, rappresentava una proposta contrattualmente vincolante conclusa con l’accettazione del pensionato; tesi che è stata respinta in tutti i gradi del giudizio, anche in forza di quanto già statuito dalla medesima Corte con la pronuncia n. 501 del 13 gennaio 2009.

Con tale ultima sentenza, in particolare, la Suprema Corte ha ritenuto che proprio l’art. 20 attribuisce alla Cassa la facoltà di controllare, all’atto della domanda di pensione, la corrispondenza tra le dichiarazioni annuali dei redditi e le comunicazioni annualmente inviate dallo stesso iscritto, limitatamente agli ultimi dieci anni. Il che depone, allo stesso tempo, per l’esistenza di un limite temporale all’esercizio di tale potere in un’ottica di prevalenza dell’esigenza di certezza dei rapporti giuridici rispetto all’esigenza di far valere, senza limiti di tempo, la esatta corrispondenza della posizione contributiva-previdenziale alle regole disciplinanti la sua configurazione.