Francesco Nuzzo, Avvocati di Cremona e Crema. Spigolature storiche dal Medioevo a oggi
3/2021 SETTEMBRE - DICEMBRE
La letteratura forense – dedicata propriamente alle figure di avvocati e ai risvolti deontologici della loro attività – in questi ultimi tempi s’è arricchita anche con il contributo di storici non professionisti. L’impegno degli studiosi, spesso disagevole per la dispersione di documenti d’archivio e la rarefazione di tradizioni orali, ha orientato la ricerca verso ambiti di solito trascurati, portando alla luce eventi di cui erano scomparse le tracce.
Questa premessa ben s’attaglia al lavoro di Francesco Nuzzo, Avvocati di Cremona e Crema. Spigolature storiche dal Medioevo a oggi, un magistrato, che ha dalla sua una precedente esperienza negli Archivi di Stato, e riesce a governare la materia con strumenti espositivi garantiti.
Quest’opera, fortemente voluta dal Consiglio dell’Ordine di Cremona, descrive l’ufficio legale nel corso dei secoli, e rivela un contrassegno tipico degli uomini di diritto: la loro presenza incisiva nei momenti storici di rinnovamento sociale e politico. L’autore avverte che si tratta di “spigolature storiche”, cioè di notizie e fatti relativi all’avvocatura cremonese e cremasca, raccolti alla rinfusa come le spighe lasciate nei campi dai mietitori, prima che questo mestiere tradizionale sparisse, sopraffatto dalle macchine.
E il sacco, per rimanere nella metafora, si presenta pieno di inattese scoperte per un oggetto definito: far conoscere sommariamente il sistema di giustizia nel corso dei secoli e il ruolo positivo svolto dal ceto forense. Rispetto al quale sono assai pertinenti le parole di Giuseppe Zanardelli: “L’avvocatura può dirsi essere non una professione soltanto, ma una istituzione, che si lega con vincoli invisibili a tutto l’organamento politico e sociale.
L’avvocato senza avere pubblica veste, senza essere magistrato, è strettamente interessato all’osservanza delle leggi, veglia alla sicurezza dei cittadini, alla conservazione delle libertà civiche, porta la sua attenzione su tutti gli interessi, ha gli occhi aperti su tutti gli abusi, ed è chiamato a segnalarli senza usurpare i diritti delle autorità” (L’avvocatura-Discorsi (1879), I, Milano 1920, p. 57).
L’indagine specifica amalgama in un intreccio armonico le notizie raccolte, con risultati a volte sorprendenti e meritevoli di essere conosciuti. Mediante il controllo minuzioso delle fonti, che “parlano” da sé e non lasciano spazio alle invenzioni, gli avvocati compaiono quali protagonisti assoluti nello sviluppo delle comunità di Cremona e Crema, per diversi secoli differenziate politicamente in ragione dell’appartenenza a dominazioni diverse. Il loro profilo biografico, talvolta racchiuso in esaurienti medaglioni, suscita interesse per le radici identitarie, ma anche l’orgoglio di svolgere una professione antica e nobile, che oggi abbisogna di assidue conferme contro una cattiva pubblicistica.
Nella realtà cremonese lo svolgimento della funzione legale, a partire dal Medioevo, si manifesta sia nella naturale difesa del diritto violato (ad auxilium vocatus, donde il nome di avvocato), sia nella presenza creativa all’interno delle istituzioni, foriera di un grande prestigio.
I detentori del potere, comunque, non sempre hanno tollerato tale autonomia di azione, al segno che i regimi autoritari limitarono l’intervento del difensore in giudizio, certamente in alcune fasi di esso. Passare in rassegna gli argomenti svolti condurrebbe lontano: basti ricordare, a mo’ d’esempio, i compiti svolti dagli esperti di diritto (giudici e avvocati) all’interno dei comuni medievali, le figure di insigni giuristi nei tribunali locali, tra essi Giulio Claro, capo della Pretura senatoria di Cremona, gli avvocati partecipi alle lotte risorgimentali, quelli coinvolti nella conquista delle libertà democratiche o arrivati al vertice delle istituzioni repubblicane (Senato, Corte costituzionale).
Degno di particolare attenzione è il capitolo dedicato alle donne, che anche dopo la raggiunta unità d’Italia non potevano esercitare la professione legale, al cui esercizio furono ammesse solo nell’anno 1919. Alla base del diniego, una concezione patriarcale e gerarchica dei rapporti sociali, che faceva leva sulla c.d. imbecillitas sexus e incapacità muliebre a svolgere quel ruolo. Insieme con altri temi sviluppati a sufficienza, il libro contiene messaggi di apprezzamento per una professione che, innervandosi di valori pubblici e privati, resta l’argine estremo contro ogni forma di abuso.